Il termometro della domanda globale: cosa dice il GEP Global Supply Chain Volatility Index

Condividi

La domanda globale di beni e componenti industriali è uno degli indicatori più sensibili e tempestivi dello stato di salute delle economie. Tanto che osservarne le variazioni consente di anticipare cicli produttivi, tensioni commerciali e, addirittura, mutamenti geopolitici: anche per questi motivi, il GEP Global Supply Chain Volatility Index si è affermato negli anni come uno strumento chiave per analisti, imprese e governi. 

Nella sua rilevazione ultima, dopo una crescita della domanda sostenuta dalla volontà di fare scorte prima dell’applicazione dei dazi commerciali dell’amministrazione USA, la stessa sta rallentando, in particolar modo proprio per quanto riguarda gli ordini delle imprese nordamericane, che si mantengono caute valutando proprio il sottoutilizzo attuale della supply chain globale. 

Cos’è il GEP Global Supply Chain Volatility Index

Redatto mensilmente dalla società di intelligence GEP in collaborazione con S&P Global, l’indice si basa su un sondaggio condotto presso 27.000 aziende in tutto il mondo. Misura la volatilità delle catene di approvvigionamento attraverso cinque dimensioni: domanda di input, carenze di materiali, costi di trasporto, livello delle scorte e arretrati produttivi. 

Il valore dell’indice può essere positivo, indicando in tal caso pressione sulle catene, o negativo, indicando un sottoutilizzo della capacità produttiva globale.

A ottobre 2025, l’indice ha registrato un calo del –0,33, segnalando un significativo rallentamento della domanda e una capacità produttiva globale ampiamente inutilizzata.

L’analisi regionale: domanda in ritirata

La situazione più depressa la si riscontra in Nord America, dove l’indice è sceso a –0,45, il livello più basso da marzo. Dopo mesi di accumulo legato ai dazi, le imprese hanno ridotto gli acquisti di materie prime e componenti, segnalando un raffreddamento della produzione per l’inverno.

In Asia, contraltare produttivo dell’Occidente industrializzato, il valore è calato a –0,30, principalmente per il rallentamento della domanda in Cina. L’India ha mantenuto una certa vivacità, ma non sufficiente a compensare il calo di Pechino. Il dato riflette l’effetto delle politiche restrittive e della debolezza della domanda interna cinese.

In Europa, invece, l’indice è salito a –0,25, da –0,53, in controtendenza pur restando in territorio negativo. Germania, Francia, Italia e Regno Unito continuano a limitare gli acquisti, segno di una ripresa industriale ancora fragile.

Rimanendo nel Vecchio Continente, ma fuori dalla UE, è il Regno Unito a far registrare il dato più critico: –0,80. La contrazione dell’attività dei fornitori è infatti la più marcata tra le economie avanzate, riflettendo l’effetto combinato degli aspetti irrisolti della Brexit e delle successive politiche sulla migrazione e sull’accoglienza dei cittadini UE, dell’inflazione e dell’incertezza politica.

Interpretazioni geopolitiche e commerciali

Questi dati, come anticipato, non sono solo numeri, ma rappresentano bensì una chiave di lettura dei rapporti commerciali globali. La contrazione della domanda in Nord America è legata alle politiche tariffarie, che hanno spinto le imprese a rivedere le strategie di approvvigionamento. In Asia, il rallentamento cinese riflette le tensioni con l’Occidente e le politiche interne di contenimento. In Europa, la prudenza negli acquisti è sintomo di una strategia difensiva in un contesto di stagnazione.

Il Volatility Index diventa così uno specchio delle scelte politiche e delle loro conseguenze economiche: dove si alzano barriere, la domanda si contrae; dove si cerca stabilità, la ripresa è lenta ma costante.

Altri indicatori: scorte, carenze, trasporti

Oltre alla domanda, l’indice redatto da GEP e S&P Global fornisce altri segnali utili che riguardano scorte, disponibilità di materie prime, disponibilità di manodopera e costi di trasporto.

Per quel che riguarda le scorte, i magazzini restano snelli. Le imprese non temono carenze né inflazione dei prezzi, segno di fiducia nella stabilità dell’offerta; coerentemente, non si riscontrano gravi carenze di materiali, con il tracker globale ben sotto la media storica. Le fabbriche non incontrano dunque difficoltà nel reperire componenti in questa fase storica.

In lieve aumento, invece, la carenza di manodopera con un effetto sugli arretrati in crescita, ma ancora entro limiti gestibili.

I costi di trasporto sono, fortunatamente, in leggero calo, sotto la media storica, segnalando un equilibrio tra domanda logistica e capacità disponibile.

Ti potrebbero interessare