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Catena globale del valore, India contrappeso nel commercio internazionale

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Foto di Thakor Kaushik da Pixabay

Nel panorama economico globale, l’India si trova oggi al centro di una trasformazione strategica che coinvolge le sue relazioni commerciali, la sua posizione nelle catene globali del valore (GVC) e il suo ruolo geopolitico tra Occidente e Asia. 

Per chi lavora nella Supply Chain, comprendere questa evoluzione è cruciale: le scelte di Nuova Delhi influenzano rotte, forniture, investimenti e stabilità dei flussi internazionali, sfruttando il peso di una nazione che vanta un’estensione subcontinentale, la popolazione più numerosa al mondo e, soprattutto, il dinamismo dato da una percentuale di giovani altissima. 

L’inaspettata imposizione di dazi al 50% da parte degli Stati Uniti ha accelerato un distacco del premier Modi dallo storico alleato americano e un riavvicinamento con la Cina e con il blocco asiatico.

Mentre però le debolezze strutturali della GVC indiana ne limitano ancora il pieno potenziale, con una forza lavoro giovane e una crescente capacità produttiva, l’India può diventare l’ago della bilancia tra le potenze globali ed è ciò cui probabilmente ambisce.

GVC indiana: potenziale inespresso

La partecipazione dell’India alle GVC resta modesta. I collegamenti a monte — cioè il valore aggiunto estero incorporato nelle esportazioni indiane — sono scesi dal 21,6% nel 2008 al 17,2% nel 2020 – ben al di sotto della media OCSE del 26,7%. 

Il settore elettronico, ad esempio, rappresenta meno dell’1% della quota globale, limitandosi all’assemblaggio. Una tale posizione di livello intermedio e a basso valore aggiunto impedisce al Paese l’accesso a segmenti ad alta tecnologia e riduce le opportunità di trasferimento tecnologico.

Le cause sono strutturali: tassi di interesse superiori al 12% scoraggiano gli investimenti industriali, la spesa in ricerca e sviluppo è inferiore all’1% del PIL e il sistema tariffario è frammentato e instabile. Inoltre, il programma Production-Linked Incentive, lanciato nel 2020, ha prodotto risultati disomogenei: al 2024, solo il 37% degli obiettivi produttivi è stato raggiunto, con incentivi erogati sotto l’8% delle allocazioni.

Dazi USA e riavvicinamento con la Cina

L’imposizione di dazi del 50% da parte del presidente Trump su beni indiani come diamanti e gamberi ha spinto il premier Modi verso un riavvicinamento con Pechino. Al summit della SCO a Tianjin, dopo sette anni di gelo, Modi e Xi Jinping si sono stretti la mano, avviando una fase di cooperazione definibile ‘pragmatica’. La Cina ha rimosso i limiti alle esportazioni verso l’India di terre rare, fertilizzanti e macchinari per lo scavo di tunnel, cruciali per l’industria elettrica, medica e della difesa.

Sono anche ripresi i voli diretti e si prospetta lo sblocco di 200 app cinesi, tra cui TikTok. 

Tuttavia, si tratta di mosse per l’appunto pragmatiche, dettate dalla necessità di entrambi di soddisfare delle esigenze particolari che non possono cancellare le divergenze che tra Delhi e Pechino persistono da decenni: oltre al disavanzo commerciale con la Cina, che è elevato e a sfavore degli Indiani, restano in piedi svariate tensioni politiche e culturali tra i due colossi; ad esempio, sul Dalai Lama non è mai stato trovato un accordo, come sulla mega-diga cinese sul Brahmaputra e sull’alleanza tra la Cina e lo storico rivale dell’india, il Pakistan. 

Xi Jinping ha dichiarato che le due nazioni devono considerarsi partner e non rivali, ma il vantaggio resta attualmente sbilanciato a favore di Pechino. 

Lo spostamento di Modi, il premier indiano, non è però un bluff e basta: quello che è stato da molti analisti percepito come un tradimento da parte di Trump, al quale lo stesso Modi diceva di rifarsi come modello e con il quale vantava una forte amicizia, ossia l’imposizione dei dazi su prodotti agricoli che per l’economia indiana sono vitali, per il leader indiano equivaleva ad un suicidio politico, qualora accettato a testa bassa.

Modi, che invece coltiva da anni un’immagine di un India forte, anche in senso nazionalista, ha reagito nell’unico modo che gli si prospettava, vale a dire avvicinandosi al blocco opposto agli Stati Uniti.

SCO e BRICS: piattaforme di influenza

Il ‘blocco’ nella cui sfera di influenza l’India fa intuire di voler entrare – sebbene il ruolo di subalterna le stia stretta – vede due organizzazioni economiche principali: la SCO cinese e i BRICS.

La SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) è stata fondata nel 2001 per contrastare l’influenza occidentale in Asia centrale e si fa forte di dieci membri tra i quali Cina, Russia, India, Iran, Bielorussia, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. 

La Cina domina economicamente, mentre per la Federazione Russa è uno strumento per mantenere la propria influenza sulle ex repubbliche sovietiche. L’ingresso dell’India nel 2017 ha ampliato il raggio d’azione, ma ha anche introdotto tensioni interne, in quanto Nuova Delhi ambisce ad un ruolo dominante e non da comprimaria.

Parallelamente, l’India partecipa anche ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), un blocco che promuove la multipolarità e la riduzione della dipendenza dal dollaro. Finora, Nuova Delhi aveva frenato le politiche più radicali, mantenendo un equilibrio tra Est e Ovest, in virtù della sua posizione di ponte con gli USA nel Quad (alleanza con Washington e con Giappone e Australia), ma parallelamente attiva nei forum asiatici.

India come ago della bilancia globale

Con un PIL di 4.000 miliardi di dollari, l’India è la quinta economia mondiale e, secondo l’FMI, sarà la terza entro il 2028. La sua forza lavoro giovane — che rappresenterà il 20% della popolazione globale in età lavorativa entro il 2030 — è un asset strategico per scalare le industrie labour-intensive e rafforzare l’integrazione nelle GVC.

Il riavvicinamento con la Cina è una mossa tattica, non definitiva. L’India non vuole schierarsi, ma imporsi come potenza autonoma. 

Per i manager della logistica, questo significa monitorare con attenzione le rotte commerciali, le politiche tariffarie e le alleanze regionali. L’India può diventare un hub produttivo alternativo alla Cina, ma solo se saprà superare le proprie fragilità strutturali e sfruttare le opportunità geopolitiche con visione strategica.

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