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Cigni neri o cigni grigi? La teoria della Strand Commonality nella Supply Chain

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Foto di Bea da Pixabay

Negli ultimi dieci anni, le catene di approvvigionamento globali hanno affrontato eventi critici senza precedenti e hanno dovuto prendere coscienza di nuove forme di fragilità che interessano la Supply Chain globale. 

Nel giro di una manciata di anni, dapprima la pandemia da Covid-19 ha paralizzato le forniture sanitarie e industriali, poi la guerra in Ucraina ha destabilizzato i mercati energetici e le forniture di grano, infine la crescente tendenza al protezionismo economico ha portato ai conflitti tariffari cui assistiamo in questi mesi, con impatti diretti sulle produzioni dei più svariati articoli.  

Che il verificarsi di eventi imprevedibili – i ‘black Swan’ o ‘cigni neri’ del gergo statistico – inneschi dei domino su scala planetaria non deve stupire: rispetto ai cinquant’anni precedenti l’ultimo decennio, la logistica è diventata più interdipendente e vulnerabile; il modello just-in-time, la delocalizzazione produttiva e la concentrazione di risorse in pochi hub strategici hanno, sì, consentito di massimizzare efficienza e profitti, ma anche amplificato il rischio di interruzioni

È proprio in questo contesto che viene proposta la Teoria della Strand Commonality di Jon Hansen, che potrebbe offrire una prospettiva predittiva per la gestione dei rischi nella Supply Chain.

Cigni neri e la loro (presunta) imprevedibilità

Il matematico Nassim Nicholas Taleb ha introdotto nel 2008 il concetto di Black Swan (‘Cigno Nero’) per descrivere eventi rari, estremamente impattanti e difficili da prevedere

Sulla base del suo saggio si sono configurati quasi due decenni di teorie sulla fragilità e l’antifragilità, ossia il come reagire ad eventi in grado di ridiscutere i presupposti stessi di un determinato sistema sino a quel momento in equilibrio.

Oggi, la teoria esposta da Hansen, influente blogger nordamericano nonché esperto del settore Procurement, sfida questa visione tradizionale, suggerendo che alcuni di questi eventi siano in realtà declassatili a ‘Cigni grigi’ —cioè prevedibili con un’analisi più approfondita dei segnali emergenti.  

Hansen sostiene infatti che nulla avviene in totale isolamento: attraverso l’identificazione di filoni comuni tra dati economici, politici e industriali, si possono individuare schemi e relazioni nascoste che anticipano eventi ad alto impatto.

La Teoria della Strand Commonality: prevedere l’imprevedibile 

La teoria della ‘Strand Commonality’ sostiene che collegare dati disparati—da segnali economici a politiche industriali—consenta di prevedere interruzioni nella Supply Chain.  

I principi chiave sui quali si basa la teoria sono l’interconnessione dei dati, in quanto oggi più che in ogni altra epoca la logistica, l’economia e la politica globale sono intrecciate, la ripetizione dei pattern, perchè gli eventi non sarebbero mai isolati, ma seguirebbero schemi ricorrenti, e la prevedibilità attraverso segnali multipli, in quanto le crisi emergerebbero dall’intersezione tra diversi “filoni” di dati.  

Hansen di per sé non nega l’esistenza dei Black Swan, ma sostiene che molte crisi economiche e produttive siano in realtà riconducibili a una serie di segnali precursori ignorati o sottovalutati.

Applicazioni pratiche per la gestione della Supply Chain 

Dunque, nell’idea di Hansen, se le grandi aziende integrassero nel loro approccio di analisi dei Big Data la teoria della Strand Commonality, potrebbero adottare misure proattive per evitare impatti devastanti sulle loro operazioni.  

Alcune tecnologie già esistenti, facendo riferimento a software commerciali di gestione e analisi dei mercati, permettono di identificare segnali predittivi nei mercati globali, migliorando la resilienza operativa.  

L’approccio di Hansen trasformerebbe, quindi, la gestione degli approvvigionamenti da una funzione reattiva a una predittiva, concedendo alle aziende un vantaggio mediamente presumibile di 6-12 mesi sul verificarsi degli eventi critici, fondamentale per attuare strategie di mitigazione.

Un caso studio ipotetico

Avremmo potuto prevedere la pandemia, la guerra in Ucraina e la guerra dei dazi

Secondo Hansen – come afferma sul suo stesso blog – la teoria della Strand Commonality avrebbe permesso di anticipare le recenti crisi globali, ponendo attenzione ad alcuni dati preesistenti, ma sostanzialmente ignorati.

Per Hansen, la pandemia di Covid-19, ossia l’evento che ha sconvolto le Supply Chain sanitarie, avrebbe potuto essere un cigno grigio prevedibile: la teoria della Stand Communality suggerisce infatti che le precedenti pandemie di SARS, MERS e H1N1 avevano già esposto vulnerabilità nel settore farmaceutico e nella logistica just-in-time e, in particolare, la forte dipendenza della produzione globale di DPI da hub specifici come Wuhan avrebbe potuto generare allarmi precoci.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina i segnali erano evidenti fin dal 2014, con l’annessione della Crimea e la crescente dipendenza energetica dell’Europa dal gas russo, tutti definiti da Hansen indicatori chiari di un futuro conflitto geopolitico.  

La teoria di Hansen, se usata, sempre secondo il suo padre e sostenitore, avrebbe evidenziato i filoni di correlazione tra approvvigionamento energetico, decisioni militari NATO e crisi diplomatiche.

Venendo invece alla ‘guerra dei dazi’ scatenata quest’anno dalla Casa Bianca, previsioni accurate avrebbero fatto prendere coscienza di quanto sarebbe accaduto con la sua rielezione.  

Il nazionalismo economico, avviato con i dazi della prima era Trump e accentuato dalla Brexit, ha creato un contesto favorevole all’inasprimento delle politiche protezionistiche.  

Analizzando questi trend economici e politici con l’approccio di Hansen, le aziende avrebbero potuto intuire la crisi tariffaria e ridurre preventivamente la dipendenza da fornitori esterni.

Un nuovo approccio per la gestione delle crisi globali? 

La teoria della Strand Commonality offre un interessante modello predittivo per affrontare le vulnerabilità della Supply Chain globale.  

Non tutti i cigni neri sarebbero davvero imprevedibili, a sentire Hansen: molte crisi possono essere convertite in cigni grigi, permettendo a imprese e governi di prepararsi con mesi di anticipo.  

Le multinazionali che dovessero adottare questa metodologia potrebbero ridurre perdite, ottimizzare processi e aumentare la resilienza operativa, evitando shock economici e industriali futuri.

Va detto che non è tutto oro quel che luccica: nessuna teoria è infallibile e una severa e rigorosa validazione scientifica è necessaria a priori. Inoltre, l’idea alla base è una sorta di applicazione di un principio di buon senso, simile a quello che dovrebbero applicare dei bravi alpinisti in ambienti a rischio: stare all’erta e non trascurare alcun segnale proveniente dall’intorno, correlando con attenzione informazioni storiche, esperienza e attualità.

Tuttavia, sempre che l’IA non consenta efficientemente ed in modo certo di evidenziare correlazioni così disparate e lontane nel tempo e nei luoghi, è anche difficile pensare che le aziende smuovano investimenti milionari per ristrutturare asset e contratti senza la certezza che quanto vaticinato avvenga davvero.

Insomma, quella di prevedere il futuro è impresa ardua, IA o non IA.

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