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Dazi al 30% per l’UE: cosa vuol dire per manifattura e Supply Chain

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Foto di Fausto da Pixabay

La lettera inviata da Washington a Bruxelles lo scorsa settimana ha ufficializzato quella che molti considerano una rottura storica nei rapporti commerciali transatlantici: dal 1° agosto, le importazioni europee negli Stati Uniti saranno soggette a dazi del 30%

A rischio è un sistema di scambi quotidiani dal valore di 4,4 miliardi di euro, che sostiene migliaia di imprese manifatturiere, agricole e commerciali su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Questo ‘muro’ tariffario, se attuato, avrebbe l’effetto di bloccare le rotte mercantili consolidate, rendendo economicamente svantaggioso l’export europeo e causando un crollo delle marginalità sui prodotti di fascia medio-alta. I dazi già minacciati in precedenza (17% sull’agroalimentare e fino al 200% sui farmaci) troverebbero una probabile applicazione sistemica e generalizzata.

Reazioni europee: diplomazia, ma strategie divergenti

Le istituzioni europee si sono attivate con approcci complementari, con il Commissario al Commercio Maroš Šefčovič ha confermato che il negoziato è ancora aperto: negli ultimi tre mesi, durante la ‘pausa’ concessa da Washington, sono state analizzate 1.700 voci tariffarie, dalla meccanica all’agricoltura, con l’obiettivo di evitare l’escalation e sino al 31 luglio la UE conta ancora di trattare con i suo omologhi statunitensi. 

Nel frattempo, anche per mantenere aperta una porta al dialogo, Bruxelles ha posticipato le contromisure su 21 miliardi di euro di merci statunitensi, mentre al vaglio ci sono ulteriori dazi su 72 miliardi di importazioni USA (parte del cosiddetto ‘bazooka’), in caso di mancato accordo. 

Il presidente francese Emmanuel Macron – tra i ‘falchi’ all’interno della UE – propone l’introduzione di strumenti anti-coercitivi, mentre Lars Løkke Rasmussen, ministro danese e coordinatore dei colloqui, evidenzia la necessità di mostrarsi compatti, ma senza provocazioni.

Il dibattito è quindi doppio: da una parte l’esigenza di salvaguardare il sistema produttivo europeo, dall’altra il timore che ritorsioni fiscali possano alimentare l’inflazione e compromettere la competitività interna.

Impatti sulla supply chain integrata UE-USA

I dazi mettono a rischio le filiere produttive complesse, composte da forniture e assemblaggi distribuiti tra Paesi UE e USA. Settori come quello farmaceutico, l’automotive, l’agroalimentare, la meccanica di precisione, la moda e l’arredamento sono particolarmente vulnerabili. 

Il Regno Unito, pur avendo siglato un accordo bilaterale al 10%, rimane esposto: molte aziende britanniche esportano negli USA beni e componenti realizzati in UE, pagando quindi in maniera secondaria i dazi europei.

Il rischio è che la frammentazione delle catene di valore induca una riallocazione produttiva, con una perdita di efficienza e un incremento dei costi a monte.

Focus sull’Italia: tra eccellenza e vulnerabilità

L’Italia è tra i Paesi più esposti: secondo lo studio di Centromarca e Nomisma citato dal Corriere della Sera, il danno per l’export italiano può arrivare fino a 3,3 miliardi di euro, con perdite stimate minime entro i 500 milioni. Il comparto alimentare, che nel 2024 ha generato un export verso gli USA pari a 9,9 miliardi di euro (+161% rispetto al 2014), è tra i più a rischio. 

Inoltre, il 40% dei consumatori americani dichiara che ridurrà gli acquisti in caso di aumento dei prezzi del 20%.

Il valore aggiunto generato dall’interscambio è evidente: il 90% del surplus commerciale italiano tra gennaio e maggio 2025 (17,4 miliardi su 18,8) è maturato con gli USA. Da qui la corsa delle imprese italiane a chiudere i contratti prima dell’entrata in vigore dei dazi.

Le regioni più esposte includono la Sardegna per i prodotti petroliferi raffinati, la Sicilia per la raffineria e l’agroalimentare e il Molise per la componentistica auto e alimentare.

Anche beni di eccellenza, come il Parmigiano Reggiano, sono colpiti: il superdazio già attivo del 25% rischia di salire al 30%, portando il prezzo al pubblico negli USA da 40 a 50 €/kg, definito dai produttori come “proibitivo”.

Contromisure europee: strumenti o boomerang?

Bruxelles si trova davanti a un bivio: adottare contromisure fiscali, che potrebbero danneggiare anche l’export interno UE e alzare l’inflazione, oppure seguire la proposta di Confindustria e Bankitalia, che suggeriscono misure compensative, semplificazioni normative e incentivi alla competitività.

Il vero nodo è sistemico: la semplificazione delle politiche industriali UE e la rimozione delle barriere non tariffarie possono rappresentare una risposta strutturale e duratura alla coercizione tariffaria USA.

Ripensare le rotte e i volumi commerciali

Il contesto attuale costringerà le imprese italiane ed europee a rivedere strategie logistiche e contrattuali. L’aumento dei costi potrebbe spingere molte aziende a deviare le rotte verso mercati alternativi come Asia, Medio Oriente e America Latina

Com’è però ovvio, nessuno di questi può compensare nel breve periodo il valore dell’interscambio con gli USA.

La posta in gioco è alta: evitare un collasso della supply chain transatlantica e difendere la centralità del Made in Italy. Il futuro delle relazioni commerciali UE-USA passa attraverso scelte complesse, ma urgenti.

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