In una dichiarazione che ha rapidamente catalizzato l’attenzione internazionale, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’intenzione di alzare i dazi al 25% – attualmente congelati sino a fine maggio – sino al 50% su tutti i prodotti importati dall’Unione Europea.
La misura avrebbe effetto a partire dal 1° giugno 2025, ma è già stata fatta slittare di un mese, ossia al 9 luglio, da una mediazione effettuata da Brussels.
La presa di posizione unilaterale, presentata come una risposta alle presunte ‘pratiche commerciali sleali’ dell’UE, rischia di esacerbare nuovamente il conflitto economico tra le due potenze, ricadendo su tutto il comparto della logistica europeo.
Trump continua a brandire l’accusa nei confronti del blocco di Paesi del Vecchio Continente di aver approfittato degli Stati Uniti servendosi di barriere commerciali, tasse (come l’IVA, a suo dire), penalizzazioni corporative e altre presunte restrizioni, spingendo il deficit commerciale degli USA nei confronti della UE oltre i 230 miliardi di dollari. Se la proposta diventasse realtà, le conseguenze per l’economia europea, ma anche per quella globale, e per le aziende di casa nostra potrebbero essere di non poco conto.
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Gli effetti sui flussi commerciali transatlantici
L’Unione Europea è infatti uno dei principali partner commerciali degli Stati Uniti: nel 2024, gli USA hanno importato beni per 605 miliardi di dollari, mentre le esportazioni verso il Vecchio Continente si sono attestate a 370 miliardi, generando il tanto additato deficit commerciale di 235 miliardi.
L’introduzione di un dazio del 50% su tutte le esportazioni Made in UE comporterebbe un immediato declino degli scambi bilaterali, con un ridimensionamento stimato tra il 12% e il 15% in meno nel semestre successivo alla sua applicazione.
Molti prodotti europei, tra cui automobili, farmaci, macchinari industriali e beni di lusso, diventerebbero meno competitivi per il mercato statunitense e gli esportatori, di conseguenza, dovrebbero trovare mercati alternativi per compensare le perdite.
In parallelo, è prevedibile una riprogrammazione delle supply chain globali, con un aumento delle rotte commerciali verso Asia e America Latina, mentre le aziende americane potrebbero cercare fonti di approvvigionamento alternative.
Le industrie europee più colpite
Se la proposta venisse attuata, diversi settori europei si troverebbero di fronte a scenari difficili: uno su tutti è quello Automotive, in quanto le case automobilistiche tedesche, italiane e francesi esportano negli Stati Uniti una fetta consistente della loro produzione.
Con dazi così elevati, marchi come BMW, Mercedes e addirittura Ferrari, sebbene appartenente al segmento extra-lusso, potrebbero perdere una quota consistente di mercato.
Non andrebbe meglio ai produttori europei di farmaci, da Sanofi a Bayer, che vedrebbero i loro prodotti aumentare di prezzo, spingendo ospedali e consumatori americani verso alternative extraeuropee – Cina e India in testa, per altro già nazioni primatiste nella produzione mondiale di principi attivi.
Nel lusso e nella moda Brand prestigiosi come Gucci, Louis Vuitton e Chanel potrebbero subire una riduzione della domanda a causa dell’aumento dei costi per il consumatore finale, anche se la loro platea di clienti fa parte di quella nicchia che risentirebbe meno di un costo della vita più elevato.
Infine, le aziende europee che producono componentistica industriale e dispositivi potrebbero dover riorganizzare le strategie di distribuzione, sia nel caso in cui esse volessero puntare a mercati differenti, sia nell’ottica di aggirare o ridurre la propria suscettibilità ai dazi.
Reazioni e contromosse dell’UE
Di fronte ad un tale scenario, simile ad un domino del quale non si comprende la plausibile fine, l’Unione Europea ha più volte ribadito che non resterà a guardare: fonti istituzionali parlano di misure di ritorsione che potrebbero colpire le esportazioni americane di prodotti agricoli, semiconduttori e comparto aerospaziale. Inoltre, Bruxelles potrebbe cercare delle soluzioni diplomatiche attraverso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
La crisi potrebbe accelerare anche la diversificazione degli scambi internazionali, spingendo l’UE verso accordi più forti con Cina, India e America Latina, nel tentativo di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.
Nel frattempo, la mediazione europea punta a capire quale sia la reale strategia di The Donald, che dopo aver dichiarato di non intendere alcuna mediazione, ha accettato un’immediata proroga della sospensione dei dazi stessi.
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Impatto sulle aziende e sulla crescita economica
Le imprese europee – e italiane – a questo punto dovrebbero entrare nell’ottica di produrre dei piani alternativi e sviluppare la capacità di adattarsi rapidamente a scenari che non sono poi più tanto ipotetici, come quello della perdita degli USA come mercato estero di riferimento.
Alcuni degli effetti immediati per le aziende più esposte al mercato americano contemplerebbero infatti il calo del fatturato, la possibile riduzione dei posti di lavoro e, soprattutto nei settori manifatturieri, la rinegoziazione dei contratti di fornitura per minimizzare gli effetti delle tariffe e la maggiore attenzione ai mercati emergenti per compensare la perdita di competitività negli USA.
Secondo gli economisti, l’applicazione dei dazi, senza considerare il rincaro appena comminato all’Europa, potrebbe ridurre il PIL globale dello 0,3% entro il 2026, aggravando le incertezze economiche in un periodo già fragile.
Uno scenario incerto
L’annuncio di Trump sembra imprimere un cambiamento potenzialmente drastico nelle relazioni economiche tra Stati Uniti e Unione Europea, apparentemente rilassatesi rispetto ai giorni immediatamente successivi l’insediamento di Trump a Washington.
Qualora effettivamente implementato, il dazio potrebbe ridefinire le strategie commerciali globali, penalizzando i settori chiave dell’industria europea almeno per un certo periodo e spingendo le aziende a cercare alternative.
La situazione rimane però fluida e politicamente sensibile: mentre le negoziazioni proseguono, le aziende devono essere pronte ad adattarsi rapidamente.
Resta da vedere se la proposta si trasformerà in realtà o se rimarrà uno strumento di pressione nei negoziati internazionali.