Evitare sprechi e ridurre i tempi di lavorazione

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Sono i principi alla base del Lean Management. Vediamone l’origine e gli sviluppi ancora in corso grazie alle nuove tecnologie e come questa metodologia influenza la logistica interna alla fabbrica […]

La semplificazione delle attività negli stabilimenti produttivi è un obiettivo al quale si tende soprattutto dal secondo dopoguerra, quando l’economia in forte ripresa mise in risalto la necessità di evitare sprechi e di ridurre i tempi di lavorazione e attrezzaggio»: a Tommaso Rossi, che insegna Lean Management alla Liuc di Castellanza nell’ambito del corso di laurea in Ingegneria Gestionale, abbiamo chiesto di raccontarci l’evoluzione della logistica interna alla fabbrica.

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Logistica interna alla fabbrica: il dossier

 

Per produrre sempre meglio

Tommaso Rossi, LIUC – UniversitĂ  Carlo Cattaneo

«La prassi Lean – spiega Rossi – ha avuto origine in Giappone nelle fabbriche Toyota su iniziativa di Taiichi Ohno, responsabile della produzione della casa automobilistica.

Ancora oggi è noto come TPS, acronimo di Toyota Production System, metodologia che punta a fare di più e meglio con meno.

Si è partiti dalla produzione, ma poi il concetto ha trovato applicazione un po’ ovunque, anche nei servizi.

Il termine Lean, invece, è stato utilizzato per la prima volta da ricercatori americani del MIT che proprio in Giappone si erano recati per comprendere e declinare dal punto di vista occidentale le tecniche produttive del paese orientale in fortissima espansione».

Kaizen, Kanban, ma anche l’inglesismo Just in time sono tutti concetti di provenienza giapponese conferma Rossi: «Compreso il supermarket, altro termine inglese adottato da Ohno, che indica un luogo posizionato nelle immediate vicinanze di una linea produttiva dal quale gli operatori possono prelevare quel che serve al momento senza essere costretti ad effettuare lunghi spostamenti che farebbero perdere tempo e aggiungerebbero stanchezza».

Il magazzino interoperazionale

Nel supermarket di fabbrica, una sorta di magazzino interoperazionale, si trovano componenti giĂ  depalettizzati e portati in prossimitĂ  delle linee produttive.

Taiichi Ohno lo chiamò supermarket perché portò in fabbrica quel che vedeva fare nei drugstore statunitensi, dove il cliente trovava quel che voleva pronto sugli scaffali, lì collocato dagli addetti che rifornivano gli espositori man mano che i prodotti si esaurivano.

In una catena di assemblaggio i supermarket consistono proprio in ripiani collocati a bordo linea che gli addetti al magazzino hanno il compito di rifornire sulla base di segnali e informazioni ricevuti.

«Se ad esempio, con un sistema a doppia cassetta di componenti, si nota che uno dei due contenitori è vuoto, lo si preleva e lo si sostituisce con uno pieno. Intanto la produzione non si interrompe perché sul ripiano c’è già un’altra cassetta dalla quale attingere componenti».

Un’evoluzione continua

Una buona soluzione consiste nel far girare tra le linee di fabbrica a ritmi opportuni un carrello o un treno di carrelli guidato da un operatore che, incaricato dal responsabile del magazzino, non solo sostituisce le cassette che vede vuote o prossime all’esaurimento ma, servendosi anche di un semplice lettore di codici, può prelevare informazioni utili e trasmetterle appunto al magazzino dove si può preparare il materiale da reintegrare nel giro di rifornimento successivo.

Non si attende dunque di arrivare in magazzino per lasciare i “vuoti” perché prima ancora i dati su quel che manca o sta per mancare sulle linee chi di dovere li ha già ricevuti e sta approntando o addirittura ha già approntato, grazie alle connessioni digitali, quel che serve o sta per servire alla velocità adeguata ad evitare tempi morti.

«Il cambiamento non è arrivato con l’Industry 4.0 – avverte Rossi – giĂ  nei primi anni Duemila sul codice a barre si erano basati efficaci sistemi informatici poi continuamente evoluti».

Non piĂą del necessario

Tutto ciò, naturalmente, per produrre sempre meglio e solo il necessario secondo la filosofia TPS o Lean che dir si voglia.

«E che individua sette sprechi, che i giapponesi chiamano muda intendendoli come peccati. In sostanza ci si chiede: perché produrre più di quel che il mercato richiede? Alla base di un comportamento errato di quel genere vi è la falsa concezione che producendo grandi lotti si può spalmare il costo del set-up sia produttivo sia logistico su più unità riducendo il costo per ciascuna di esse.

In realtà, se si vogliono avere set-up di valore contenuto è più indicato lavorare secondo il metodo SMED, acronimo di Single Minute Exchange of Die, che aiuta a comprendere come ridurre i tempi di attrezzaggio di una linea o di una macchina».

In sostanza la Lean production consiglia di non puntare a lotti grandi solo per ridurre i costi di attrezzaggio, ma di intervenire proprio sui tempi di attrezzaggio, inteso come la sostituzione di uno stampo in una pressa o l’asservimento dei materiali necessari a una linea di confezionamento.

Non servono grandi lotti

Così facendo sarà possibile realizzare lotti più piccoli inseguendo correttamente l’andamento del mercato dove i prodotti cambiano, invecchiano rapidamente e la volubilità della domanda accelera di continuo.

Se grandi lotti di produzione potevano avere un senso agli albori dell’industrializzazione, o durante il boom economico italiano quando si trattava di offrire a tutti l’utilitaria di famiglia o un frigorifero, con la riduzione della domanda e soprattutto con la sua diversificazione è diventato fondamentale produrre per lotti piccoli.

Si pensi tra l’altro alla personalizzazione dei prodotti possibile navigando in internet, dove i costruttori permettono di customizzare un’auto con diversi optional e colori e quelli di abbigliamento si comportano in maniera analoga dando la possibilità di scegliere accessori e dettagli vari. Insomma, il commercio elettronico ha impresso nuovo vigore alla necessità di lavorare per piccoli lotti contenendo i costi di set-up.

Imparare la Lean

Alla Liuc si insegna Lean Manufacturing al terzo anno della laurea di primo livello in Ingegneria gestionale e Lean Management agli studenti del secondo anno che intendono conseguire la laurea magistrale.

«Presentiamo esempi assolutamente concreti – spiega Rossi -. Anzi, nel corso di Lean Manufacturing molte lezioni sono condotte in maniera esperienziale servendosi della nostra fabbrica simulata i-FAB, dove gli studenti assemblano dei calcio-balilla risolvendo il problema di come fare arrivare in modo efficiente in linea i materiali necessari».

Gli studenti devono applicare concretamente i princìpi del Lean Manufacturing in maniera tale da assemblare dieci calcio-balilla in 30 minuti. «Si parte da una situazione molto confusa dei materiali che gli studenti devono razionalizzare per contenere i tempi e arrivare al risultato voluto.

Inizialmente, in quei 30 minuti, gli studenti fanno fatica a consegnare un calcio-balilla completo. In seguito, applicando gradatamente i princìpi Lean assimilati durante le lezioni, sono in grado di migliorare le prestazioni e di raggiungere il traguardo alla fine delle 24 ore distribuite in tre giorni di frequenza dell’i-FAB. Ci riescono perché hanno compreso che cosa è necessario fare per intervenire correttamente su organizzazione e logistica».

Antonio Massa

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