L’acronimo VUCA, preso in prestito dal gergo militare e che nasceva per indicare la volatilità e l’incertezza portate dal multilateralismo post-Guerra Fredda, da alcuni anni a questa parte non descrive altro che la condizione permanente in cui versano le relazioni commerciali e politiche mondiali.
In conseguenza a ciò il commercio globale sta attraversando una fase di profonda ristrutturazione: le tensioni tra Stati Uniti e Cina, alimentate da politiche protezionistiche e misure ritorsive, stanno ridefinendo le catene di approvvigionamento e, naturalmente, i flussi di investimento e le strategie industriali.
Al centro di questo scontro vi sono strumenti come i dazi, il reshoring, il controllo delle risorse strategiche e una crescente biforcazione tecnologica.
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La strategia tariffaria di Washington
Dopo un’apparente distensione seguita alla primissima fase di annunci iperbolici della Casa Bianca sui dazi, l’amministrazione Trump è tornata ad intensificare la pressione economica su Pechino con una serie di misure aggressive.
A partire dal 1° novembre 2025, gli Stati Uniti applicheranno dazi del 100% su una vasta gamma di beni cinesi, portandone il totale potenziale al 130%. Tra i settori colpiti figurano le attrezzature portuali, come le gru da banchina e i telai intermodali, le esportazioni di veicoli e di componenti tecnologici. Inoltre, sono state riviste le regole per le licenze di esportazione di GNL, penalizzando le navi non costruite negli USA.
Tutte queste azioni puntano a ridurre la dipendenza statunitense dalle forniture cinesi e a incentivare la produzione nazionale. Per il momento è una politica che sembra pagare, in quanto aziende come Apple, Hyundai e Merck hanno annunciato investimenti miliardari negli Stati Uniti, in linea con la strategia di reshoring promossa da Washington.
La risposta cinese: il caos nei trasporti marittimi
Pechino non è stata a guardare e ha reagito con misure indirizzate nei confronti del settore dei trasporti marittimi. Dal 14 ottobre, la Cina impone una tariffa aggiuntiva di 400 RMB per tonnellata netta su navi costruite, gestite, battenti bandiera o anche solo quotate negli Stati Uniti. Questa tassa, destinata a salire fino a 1.120 RMB entro il 2028, ha già causato il dietrofront di diverse navi dirette in Cina.
I segmenti più colpiti includono le petroliere che trasportano greggio (16% della flotta globale), le navi per GPL (14%), le portacontainer (11%) e le petroliere che stivano prodotti raffinati (13%). Secondo il broker Arrow, l’impatto sul mercato potrebbe essere sostanziale, con ritardi inevitabili nei porti e difficoltà amministrative legate alla verifica della proprietà delle navi.
Effetti sistemici e settoriali
Le ripercussioni si estendono ben oltre il settore marittimo. Le tensioni hanno innescato una divergenza nei mercati finanziari: in Asia, il KOSPI ha perso il 2,35%, mentre negli USA il Nasdaq 100 è salito fino all’1,6% grazie a messaggi concilianti di Trump. I settori tecnologico, automotive, agricolo e tessile sono tra i più esposti, con aumenti dei costi all’orizzonte, la potenziale perdita di mercati e una netta compressione dei margini.
La frammentazione delle supply chain e il decoupling tecnologico tra USA e Cina stanno creando ecosistemi paralleli, con effetti su produttività, inflazione e crescita globale. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il PIL mondiale potrebbe subire una contrazione dello 0,3% nel breve termine.
Verso un ordine multipolare
La risposta delle imprese e dei governi si articola in strategie di diversificazione geografica (ossia nel non avere più la sola Cina come fornitrice), di automazione industriale e di friend-shoring verso paesi alleati come India, Vietnam, Australia e Canada.
Questo nuovo paradigma economico privilegia la resilienza rispetto all’efficienza, con modelli “just in case” che sostituiscono il tradizionale “just in time”.
Nel lungo termine, si profila un ordine multipolare in cui India, Giappone e Unione Europea assumono ruoli centrali. Allo stato attuale delle cose, la volatilità, l’inflazione persistente e il rischio geopolitico rimangono elevati.
Le tensioni commerciali tra USA e Cina non sono più leggibili come episodi isolati, ma rispondo più all’identikit di una trasformazione strutturale dell’economia globale.