Il magazzino baricentro della supply chain

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Riflettere sull’assetto della propria supply chain è un esercizio che tiene in allenamento i logistici più innovativi, alla ricerca di ottimizzazioni che portino benefici a due cifre.

Le condizioni operative al contorno della supply chain mutano di continuo: nuove rotte commerciali, nuovi mercati di sbocco e nuovi assetti organizzativi modificano nel
tempo sia l’entità sia il “baricentro” dei flussi logistici.

Pertanto, oltre a misurare quarter su quarter i famigerati KPI, occorre estraniarsi dall’operatività e chiedersi se il numero, la dimensione e la localizzazione dei magazzini con cui si raggiunge il mercato è ancora coerente con il business. Ebbene sì: occorre partire dal route-to-market per capire se si ridurranno ulteriormente i quantitativi medi per ordine, se aumenterà l’esigenza di consegne con lead time AxB e se vi saranno ulteriori volumi provenienti dal canale on-line.

Sta quindi nelle capacità del buon logistico intercettare l’evoluzione prevista del mercato, valutare gli impatti sull’attuale modello distributivo e proporre un set
di alternative che contemplino sia aspetti economici (quanto mi costerà?) sia aspetti tattici (quanto sarà resiliente la mia supply chain?).

Per fare delle analisi di scenario del tipo “cosa succede se” occorre un primo serio momento di analisi dei flussi che attraversano la supply chain da monte a valle, in termini geografici, temporali e dimensionali (volumi, frequenze, drop size, coperture, etc.). E lo sforzo va fatto anche in ottica previsionale, volendo trovare un assetto per almeno i prossimi 3-5 anni o comunque per un orizzonte compatibile con le tempistiche dei contratti di outsourcing logistico.

Dopodiché, per i diversi scenari, vanno quantificati i costi complessivi e stimate le relative prestazioni di servizio, onde evitare di ricercare la soluzione a minimo costo che tuttavia non soddisfi gli standard di qualità del servizio reso al cliente in termini di tempistiche, indici di puntualità, completezza, etc.

Con riferimento alla distribuzione nazionale un classico dilemma è legato al numero di magazzini necessari a servire un territorio stretto, lungo, frammentato e regionale come la nostra amata penisola, isole incluse. C’è chi continua ad avere uno solo magazzino, a ridosso della fabbrica o baricentrico rispetto alla distribuzione. Oppure chi dispone di due o più magazzini, per “avvicinarsi” non solo geograficamente ma anche da un punto di vista commerciale e di visibilità, alle aree di mercato più promettenti.
Indubbiamente la scelta dell’assetto va presa a livello di board e concordata con la direzione commerciale dati gli impatti sul servizio offerto e sull’impiego di risorse, ancorché si possa ricorrere all’outsourcing o all’affitto dell’immobile.
Se da una parte la soluzione con più magazzini è quella che più piace alla direzione commerciale (che può promettere tempi di consegna minori e uniformi per tutti i clienti) dall’altra deve fare i conti con i maggiori oneri finanziari connessi allo stock (che sono proporzionali alla radice quadrata del numero di depositi) e alla difficoltà del processo di replenishment.

Non è di certo un progetto semplice da fare da soli né in poco tempo.

Ma per vincere l’ozio dello status quo, meglio ricordarsi quello che diceva Darwin: “Non
è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più predisposta ai cambiamenti”.

A cura di Prof. Fabrizio Dallari
Direttore del Centro sulla Supply Chain, Operations & Logistics
LIUC Università Cattaneo

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