Shipping, il mercato dell’usato prende spazio

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Il settore navale vive una fase di transizione complessa per via, da un lato, della pressione internazionale per ridurre le emissioni e accelerare la decarbonizzazione, e, dall’altro, della necessità di mantenere flotte competitive senza affrontare costi proibitivi

I cantieri asiatici, saturi e costosi, e l’incertezza sui carburanti verdi hanno spinto gli armatori a guardare con rinnovato interesse al mercato dell’usato. Qui si intrecciano due esigenze: svecchiare le flotte e, al tempo stesso, contenere gli investimenti.  

La strategia greca  

La Grecia, storicamente protagonista dello shipping mondiale, ha dato un segnale chiaro nel 2025. Gli armatori ellenici hanno venduto 139 navi, soprattutto Supramax e Panamax datate, e ne hanno acquistate 126, puntando su Handy, Ultramax e Kamsarmax più recenti

La logica è semplice: liquidare tonnellaggio obsoleto e sostituirlo con unità più efficienti, capaci di garantire flessibilità commerciale e migliori performance ambientali. La fascia d’età privilegiata è quella tra i 6 e i 15 anni, nella quale il rapporto prezzo/valore resta equilibrato.  

Un mercato selettivo  

Rispetto ai cicli passati, gli armatori greci si mostrano meno aggressivi e più selettivi: la scelta di investire anche in navi di 0-5 anni, soprattutto nelle categorie Ultramax e Kamsarmax, evidenzia la volontà di alcuni gruppi di accelerare la transizione verso flotte eco-friendly. Non si tratta di una corsa indiscriminata, ma di un riallineamento intelligente, calibrato su un ciclo positivo di medio termine.  

Equilibrio tra sostenibilità e convenienza  

Il messaggio che arriva dalla Grecia offre uno spunto di riflessione: il mercato dell’usato può essere interpretato non solo come rifugio temporaneo, ma come vero e proprio strumento strategico per bilanciare sostenibilità e convenienza. 

La decarbonizzazione resta un obiettivo imprescindibile, ma gli armatori devono misurarsi con margini, costi e rischi. In questo equilibrio, la seconda mano diventa terreno fertile per chi vuole rinnovare le proprie flotte senza compromettere la redditività e, in questo, sono complici anche i tergiversanti europei e dell’IMO sull’adozione di normative ambientali definitive.  

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