La Supply Chain è una sorta di termometro della salute dell’economia globale e del commercio internazionale ed ha un legame a doppia mandata con il fenomeno dell’inflazione, che ne influenza direttamente i costi.
Nel recente periodo una visione lucida e distaccata di quanto stiano attraversando le catene di approvvigionamento non è semplice da avere, considerati i continui stravolgimenti di equilibri ed accordi che hanno regolato oltre cinquant’anni si scambi.
Volendo ascoltare una campana ‘pessimista’, il report “Supply Chain Navigator” pubblicato dalla società di analisi Kearney il 26 agosto scorso delinea un quadro allarmante – sì – ma, in effetti, lucido dal quale si evince che i costi globali della supply chain sembrano destinati a crescere fino al 7% sopra il tasso d’inflazione entro il quarto trimestre del 2025.
Un balzo significativo, se lo si confronta con il +2% registrato l’anno precedente, che, se confermato, comporterebbe un necessario cambio di paradigma per le imprese e i mercati.
Il fenomeno additato a causa principale di questo incremento sarebbe l’esaurimento delle scorte precedentemente accumulate per ‘parare’ gli effetti dell’entrata in vigore dei dazi dell’Amministrazione Trump. Le stesse aziende, che ora sono costrette a rifornirsi a prezzi più elevati, si trovano in una spirale di costi crescenti che si riflette sull’intera filiera, e tutto ciò ben prima che i prodotti raggiungano gli scaffali.
Leggi anche:
India: rincorsa alla Supply Chain globale
Inflazione e supply chain: legame sempre più stretto
La relazione tra supply chain e inflazione si fa sempre più diretta: il report evidenzia come l’aumento dei costi di beni e materiali stia avvenendo a monte, generando una pressione sui margini che mette i retailer di fronte al bivio strategico tra il mantenere la stabilità dei prezzi per tutelare il consumatore o l’aumentare i listini per salvaguardare la redditività.
Secondo Kearney, questa tensione sarebbe sintomatica di un cambiamento strutturale, in quanto la scelta che si trovano a dover operare le aziende è tra prezzo e margine.
Con l’aggiunta di una condizione inedita: la volatilità; divenendo essa parte predefinita del contesto, il prossimo trimestre potrebbe rappresentare un grande reset verso una ‘nuova normalità’.
Il concetto di volatilità, infatti, da fattore esterno e temporaneo quale è sempre stato classificato, è divenuto parte integrante del sistema, tanto che il report non la considera più un elemento di disturbo, bensì la condizione predefinita.
Questa presa d’atto ha un significato preciso per le aziende, che non possono più limitarsi a reagire alle crisi, ma sono invitate a progettare le proprie supply chain perché convivano con l’incertezza. Dunque, la resilienza diventa una qualità strutturale, non più una carta da giocare in emergenza.
Le strategie per affrontare il cambiamento
Nel report, Kearney propone un approccio proattivo per affrontare la nuova realtà: le soluzioni non si limitano alla tecnologia, ma coinvolgono la cultura aziendale e la progettazione dei processi.
Viene, per esempio, sostenuto che l’adattabilità diventi principio fondante della supply chain, che la pianificazione di scenari a livello enterprise venga integrata nelle pratiche aziendali e che siano costruite reti multi-nodo, abilitate dalla tecnologia e capaci di reagire rapidamente alle interruzioni.
Infine, raccomanda di progettare processi per una reingegnerizzazione guidata dall’intelligenza artificiale, non relegandola solo alla gestione di compiti automatizzati
Secondo il Kearney Supply Chain Institute, a ‘vincere’, in futuro, saranno quelle supply chain progettate per aspettarsi instabilità e interruzioni.