Qualsiasi politica votata alla Carbon Neutrality che escluda dal proprio orizzonte il comparto della navigazione risulterebbe menomata in partenza. La sola branca marittima mercantile, tanto per dare sostanza alle parole, di tutte le merci globali ne movimenta oltre l’80%: il 35% in volume e oltre il 60% in valore via container.
Tuttavia, sebbene la decarbonizzazione del trasporto marittimo sia sul piatto da almeno un decennio in termini ben espliciti, la situazione non ha certo fatto passi da gigante, dimostrando, anzi, un’inerzia ben superiore a quella di altri settori quale l’Automotive.
Manca una normativa condivisa
Ad agire in sfavore di un veloce adeguamento a standard emissivi in linea con le richieste della COP21 – l’evento politico simbolo della definitiva ammissione che un cambiamento climatico sia in corso – vi sono un parterre di fattori che possono condensarsi in due grandi ragioni: l’altissimo investimento iniziale che richiede la costruzione di una nave – il che ha una ricaduta sui tempi di ammortamento e sull’aspettativa di vita in servizio da parte degli armatori – e un quadro geopolitico ed economico tra i più incerti degli ultimi cento anni che frena chiunque dal prendere decisioni
di lungo corso.
V’è poi un ulteriore, non secondario, aspetto, vale a dire l’assenza di una vera e propria barriera normativa condivisa a livello globale su quanto debba e possa inquinare una nave; in buona sostanza, obblighi stringenti ce ne sono pochi, insufficienti ad avvicinare lo shipping a livelli inquinanti davvero utili e, di fatto, aggirabili per via della ridda di escamotage normativi cui le compagnie armatrici possono ricorrere in giro per il pianeta (non sarà un caso se il varo dei mercantili avviene in gran parte presso registri navali esotici).
Il ricambio delle flotte
Sul quadro generale dell’impatto del trasporto marittimo a livello di emissioni di CO2 insiste un altro problema: il ricambio generazionale delle flotte.
La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) tenutasi nel 2023 ha ben tracciato i contorni di una impasse mondiale dovuta all’inflazione galoppante, alla contrazione della domanda di beni di consumo ed all’incertezza geopolitica.
Lo scenario, cui l’emergenza climatica somma ulteriori dubbi da parte di chi deve compiere grandi investimenti per via delle scelte normative ancora da definirsi, va a discapito proprio della sostenibilità.
Cresce l’età media dei mercantili
I dati diffusi dalla UNCTAD sull’anzianità delle flotte in servizio sui mari rispecchiano lo stallo decisionale degli armatori: l’età media dei mercantili è cresciuta di 10 anni in 10 anni; portandola, nel 2023, a 21,9 anni.
La situazione macroeconomica influenza le scelte degli armatori, intimoriti dai dati di crescita del settore globale della navigazione mercantile, che ha registrato un misero +2,95% ad inizio 2022; alcuni sotto-comparti sono andati meglio, come le navi per il trasporto di gas liquido (+8,15% grazie alla crisi energetica) e le portacontainer (+4,11%, sebbene la capacità delle nuove navi sia calata del 53%, perdendo 950mila Teu rispetto al 2021), ma altri sono crollati, come le navi cisterna per rinfuse secche e le petroliere, destinate a scomparire dai mari europei per via della transizione ecologica e a riciclarsi in acque terzomondiali deregolamentate.
Anche questa è una ripercussione dei nuovi equilibri energetici determinati dalla guerra in Ucraina