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Zeno D’Agostino (ESPO): “Il porto è un ecosistema strategico integrato”

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Zeno D'Agostino, presidente Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale Porti di Trieste e Monfalcone
Qual è la visione della logistica che si può avere dal ponte di comando di un porto? Uno dei personaggi più autorevoli che può rispondere a questa domanda è Zeno D’Agostino presidente di ESPO European Sea Ports Organisation e del Porto di Trieste

Già alla guida del porto di Trieste, il veronese Zeno D’Agostino lo scorso novembre 2022 è stato nominato presidente di ESPO – European Sea Ports Organisation attraverso elezione all’unanimità da parte dei rappresentanti dei 23 Paesi membri dell’Associazione.

Zeno D’Agostino, presidente Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale Porti di Trieste e Monfalcone e di ESPO

Si tratta di una realtà che si pone come punto di contatto privilegiato tra i porti e l’UE e che rappresenta gli interessi del mondo portuale, promuovendo le istanze comuni degli scali marittimi e impegnandosi nel dialogo con gli stakeholder europei di settore, compresi i rappresentanti dei lavoratori.

È quindi molto significativo che oggi l’Italia torni ad esprimere la leadership nel massimo organismo di rappresentanza dei porti su scala continentale; un’occasione per far sentire la propria voce e per sviluppare la propria naturale vocazione di sistema di scali integrato al centro del Mediterraneo. Di questo e molto altre abbiamo parlato nell’intervista pubblicata sul numero di maggio della rivista Logistica.

 

 

Cos’è, oggi, un porto?

Non è più solo un semplice hub della filiera multimodale per il traffico di merci e persone, ma un ecosistema complesso tra mare e terra, un hub di energia e piattaforme tecnologiche, un motore di crescita sostenibile.

Come ci hanno mostrato prima la gestione della pandemia e ora la guerra in Ucraina, i porti sono oggi vere entità strategiche: in quest’epoca dell’incertezza, gli enti gestori sono chiamati anche a svolgere un ruolo geopolitico, di facilitatori nelle relazioni tra Paesi, oltre a quello tipicamente commerciale.

E attraverso i porti marittimi europei transitano ogni anno circa 3,3 miliardi di tonnellate di merci e circa 400 milioni di passeggeri.

Condurre l’ESPO in un momento così delicato di crisi mondiale è ancora più sfidante…

Negli ultimi 3 anni la logistica è stata totalmente rivoluzionata a livello strategico globale. Sono onorato di aver ricevuto questo prestigioso incarico, un segnale forte per l’Italia, ma anche un riconoscimento per il lavoro fatto a Trieste.

Molte sfide epocali ci vedono coinvolti in prima linea ed è prioritario che la portualità europea affronti tali sfide unita e attrezzata con proposte concrete. Parlo di soluzioni da trovare attraverso un dialogo costante insieme ai decisori politici europei.

I capitoli dell’innovazione necessaria sono tanti e sapremo affrontarli con il timone saldo. Essi sono la transizione energetica, il cambio di governance necessario per i porti di domani, la gestione delle risorse umane e del conflitto sociale e la digitalizzazione.

Specie in momenti di crisi come questo, ESPO può giocare un ruolo chiave di portavoce naturale delle istanze dei porti d’Europa a Bruxelles e delle possibili soluzioni alle sfide del futuro.

Come è cambiata la logistica portuale negli ultimi anni?

Prima del covid, a livello globale c’era un sistema logistico praticamente perfetto, senza ritardi e inefficienze nei porti. La logistica del passato dava la possibilità ai gestori della supply chain di contare sulla puntualità delle navi, con tutti i conseguenti benefit.

Tutti gli shock che abbiamo vissuto, e che continuiamo a vivere, hanno portato ad una logistica imperfetta, con numerosi ritardi, noli alle stelle e indisponibilità di prodotti.

Qual è stata la reazione a questo sconvolgimento?

I nostri manager hanno abbandonato la riduzione al minimo delle scorte, che può funzionare solo in caso di logistica impeccabile, riempiendo i magazzini con stock. In pratica da una logica affine al just in time ci troviamo ad una vision post-fordista, in cui le scorte costituiscono buona parte dell’efficienza delle catene logistiche globali.

Un altro effetto è quello del reshoring, con una modifica nella gestione delle supply chain, ma anche e soprattutto il fenomeno del dual sourcing, non affidandosi più ad un unico soggetto fornitore, ma diversificando a livello globale e riducendo la dipendenza ad un unico Paese. La conseguenza è una nuova distribuzione della produzione globale al fine di ridurre i rischi di tipo logistico e geopolitico.

Come si sta ripensando al ruolo dei porti?

Già prima del trauma covid e gli altri eventi a seguire, avevamo iniziato a comprendere il fenomeno di forte integrazione della domanda a livello di servizi, con la conseguenza di dover strutturate un’offerta adeguata, con un territorio in grado di agire in modo integrato. Se si aspira ad essere territorio d’eccellenza, bisogna avere questa mentalità poichè, in mezzo a questo caos, i punti franchi e le zone economiche speciali acquisiscono una forza incredibile perché consentono di gestire in modo efficiente lo stock in aumento con costi più bassi.

In tal direzione che strategie mettere in atto?

Per la realtà di Trieste, abbiamo integrato sotto l’egida del sistema portuale, non solo il porto, ma tutta la componente interportuale presente in Friuli-Venezia Giulia.

Di recente abbiamo messo a punto l’offerta integrata del sistema infrastrutturale, portuale e logistico della regione per la filiera agroalimentare.

Il sistema portuale di Trieste e Monfalcone integrato con Fernetti, Cervignano, Udine, Gorizia, l’interporto di Pordenone, è al servizio del sistema produttivo regionale o locale. Un tema caldo in questa direzione è anche la possibilità di utilizzo del porto franco, gestito in modo centralizzato dalle autorità di sistema globale e integrato.

Parlando invece di infrastrutture, il tema fondamentale riguarda la loro gestione. A che punto siamo?

Il concetto si può spiegare coniando la parola “hordware”, quindi un mix tra software e hardware.

Quest’ultimo è caratterizzato dalle infrastrutture, come strade e porti, mentre il software è relativo ai servizi. Ecco, in una situazione ideale dovrebbe esistere un “hordware” di sistema, con un coordinamento e un management unico. Solo così è possibile reagire prontamente ai cambiamenti: modificando l’hordware abbiamo una capacità infrastrutturale notevole.

Serve una nuova vision…

È fondamentale uscire dallo schema del “classico porto” e investire fuori da esso. Bisogna rivoluzionare il paradigma per cui il porto e la nave sono gli elementi fondamentali di sviluppo del porto. Oggi c’è molto altro.

Le navi sono immense e avanzate le tecnologie che vi ruotano attorno, compreso lo scarico con gru automatizzate e robot.

Quindi, in cosa occorre investire?

Per esempio, in produzione energetica, trasformando il porto in un luogo che produce energia grazie a campi fotovoltaici galleggianti offshore.

Cosa può dirci sul traffico portuale oggi?

La pandemia e la guerra in Ucraina non ci hanno fermati e non abbiamo perso traffico. Anzi, grazie ai continui investimenti, abbiamo migliorato molti aspetti: oggi siamo un porto che dipende sempre meno dal petrolio.

Siamo molto più di un sistema portuale tradizionalmente inteso, ma un network che comprende la logistica con gli interporti e la ferrovia, una piattaforma industriale dotata di punti franchi, un hub energetico e per le connessioni digitali.

Tasselli fondamentali di una realtà dove lavorano tante persone.

Multisettorialità e complessità sono i veri punti di valore di un sistema flessibile, che si è dimostrato capace di adattarsi agli shock economici e di percorrere vie di crescita inesplorate.

Cosa c’è dietro l’angolo, presidente?

I risultati del 2022 non devono farci abbassare la guardia. Dalla Cina arrivano notizie preoccupanti e i porti di tutti il mondo si aspettano un rallentamento del trend attuale. Per questo, stiamo elaborando un piano di nuovi investimenti per 1 miliardo di valore, quasi la metà da fondi PNRR e il resto grazie ad investimenti privati.

Un programma all’insegna della sostenibilità e della transizione energetica, cardini sui cui andrebbe misurata la performance dei porti di domani.

Lara Morandotti

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