Negli ultimi anni, una delle modalità più utilizzate per far arrivare merci dalla Cina agli Stati Uniti è stata quella dei piccoli pacchi esenti da dazi grazie alla cosiddetta regola “de minimis”, un meccanismo che consentiva l’ingresso negli USA, senza oneri doganali, di spedizioni dal valore inferiore a 800 dollari.
A partire dal 2 maggio 2025, gli Stati Uniti hanno abolito questa esenzione per le spedizioni provenienti da Cina e Hong Kong, imponendo dazi fino al 54%: la misura ha avuto un impatto immediato sull’equilibrio dei flussi commerciali e sull’economia dell’e-commerce globale, in particolare su colossi del fast fashion come Shein e Temu.
Crollo dei volumi spediti dalla Cina
Secondo i dati diffusi dalle dogane cinesi, il valore delle spedizioni di piccoli pacchi verso gli Stati Uniti è sceso a poco più di 1 miliardo di dollari nel mese di maggio, il livello più basso dall’inizio del 2023.
Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, si registra un crollo del 40%, segnale tangibile della crisi generata dal nuovo quadro normativo, definito ‘lose-lose’ dal mondo delle spedizioni, in quanto comporta un aumento dei prezzi dei prodotti importati e un’assenza di alternative per i consumatori, oltre che una fonte di costi aggiuntivi per le imprese.
Il canale commerciale, che fino a pochi mesi fa risultava strategico per i rapporti USA-Cina, si ritrova oggi ad essere fortemente ridimensionato.
Impatti economici su aziende e consumatori
Il cambiamento ha colpito duramente sia le grandi aziende che i piccoli imprenditori.
Shein, per esempio, ha incrementato i prezzi dei propri prodotti negli USA già prima dell’introduzione dei dazi, nel tentativo di attutire l’impatto sui margini di guadagno. Ciò malgrado, nella settimana successiva all’entrata in vigore della nuova normativa, sia Shein che Temu hanno registrato un calo delle vendite a doppia cifra.
Per i piccoli esportatori, il colpo è stato altrettanto duro.
Nei casi più diffusi, spedire singoli pacchi direttamente ai clienti statunitensi comporterebbe una perdita media di circa 2 dollari per unità, il che costringe molte aziende a ripensare completamente la propria logistica, optando per spedizioni in blocco verso magazzini statunitensi, con discreti investimenti iniziali.
Riorganizzazione dei flussi commerciali
La politica trumpiana in merito alle importazioni dall’Asia sta producendo i suoi effetti: per fronteggiare la nuova realtà, molte aziende stanno intraprendendo strategie alternative.
La soluzione più diffusa è il passaggio da spedizioni dirette a invii all’ingrosso, con stoccaggio anticipato negli Stati Uniti, che comporta una trasformazione strutturale foriera di maggiori costi, tempi di pianificazione più lunghi e investimenti in infrastrutture locali.
Parallelamente, è in atto anche una diversificazione dei mercati di destinazione. In parte, si tratta di nazioni attraverso le quali far transitare le merci per aggirare il marchio di provenienza dalla Cina, ma, in parte, si tratta di una riallocazione delle direttrici commerciali.
Con la diminuzione della competitività degli Stati Uniti, crescono le esportazioni verso paesi come la Malesia (che nel solo mese di maggio ha ricevuto oltre 700 milioni di dollari in pacchi dalla Cina), oltre a Belgio, Corea del Sud, Hong Kong e Ungheria, che si affermano come nuovi poli di riferimento nel commercio digitale internazionale.
Una svolta dettata dalla politica commerciale
La fine delle esenzioni “de minimis” è il risultato di una decisione politica che Trump giustifica con il riequilibrio di quelli che venivano considerati vantaggi ingiusti a favore delle imprese asiatiche.
Sebbene si tratti di una scelta nazionale, le conseguenze si estendono su scala globale, colpendo catene logistiche, vendite transfrontaliere e accessibilità dei beni per milioni di consumatori.
Questo mutamento del contesto normativo rappresenta una cesura rilevante nei rapporti economici tra Asia e Stati Uniti, aprendo interrogativi su quanto sostenibile e resiliente sia l’attuale modello di commercio digitale globale.