Ennesima battuta d’arresto sulle normative ambientali, per le quali le imprese europee chiedevano peraltro più chiarezza: a giugno, la Commissione Europea ha ritirato la proposta di Direttiva sulle Dichiarazioni Ambientali (Green Claims Directive), generando un’ondata di ulteriore confusione in tutto il mondo industriale europeo.
La direttiva, presentata nel contesto dell’iniziativa “Empowering Consumers for the Green Transition”, mirava a combattere il greenwashing, vietando claim ecologici vaghi, fuorvianti o infondati: secondo i dati rilevati dalla Commissione e risalenti ad uno studio del 2023, oltre il 50% delle affermazioni in merito alle politiche ambientali diffuse dalle aziende sarebbero infatti poco attendibili.
Il proposito della Direttiva non era quindi di per sé sbagliato, ma, se le aziende chiedevano linee guida inequivocabili, l’inaspettato ritiro rimette tutto in discussione.
Leggi anche:
I fattori green della Logistica: il dossier è online
L’impatto diretto sulle supply chain
Proprio la logistica, cuore pulsante delle filiere produttive, è tra i settori più destabilizzati da questa decisione: con il ritiro della norma, aziende grandi e piccole si trovano ora prive di una cornice normativa chiara sia per gestire, sia per comunicare le proprie iniziative in materia di sostenibilità.
Le difficoltà aumentano soprattutto per quelle società che sono chiamate a rispettare la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), che impongono trasparenza su impatto ambientale e rispetto dei diritti umani nella filiera.
Due tematiche di fondamentale importanza per garantire un minimo di etica nella filiera internazionale della Supply Chain, ma che, adesso, rischiano di favorire comportamenti contraddittori.
Leggi anche:
Quali sono le soluzioni green per la logistica?
Le motivazioni del ritiro
Il perché la Direttiva, per altro fresca di approvazione, sia stata ritirata ha come giustificazione ufficiale la presenza di un emendamento che avrebbe incluso 30 milioni di microimprese nel campo di applicazione, rendendone oltre modo farraginosa l’attuazione.
Secondo il Partito Popolare Europeo, promotore del ritiro, la normativa imponeva un onere eccessivo.
Tuttavia, non mancano le voci critiche, come quella di Ulrike Sapiro (Henkel), che parlano di un cedimento a pressioni anti-ambientali e di uno “yo-yo legislativo” che consuma più risorse di quante ne voglia salvare.
Il dilemma normativo UE e le richieste dal mondo aziendale
Grandi operatori globali della logistica e del commercio, tra cui Unilever, Nestlé, Mars e DP World, hanno firmato una lettera aperta alla Commissione chiedendo coerenza normativa e una guida operativa chiara.
D’altra parte, la vicenda si inserisce nel più ampio scenario di tensione tra semplificazione burocratica ed efficacia normativa che affligge la UE. Non a caso il Rapporto Draghi del 2024 ha evidenziato che le imprese europee stentano a crescere a causa della frammentazione normativa, preferendo spesso dedicarsi a scalare altri mercati, come quello statunitense – adesso reso complicato dalla situazione tariffaria imposta da Washington.
Per rispondere, l’UE ha proposto il suo “Omnibus Simplification Package”, che però rischia di entrare in collisione con la governance ambientale se non bilanciato da regolamentazioni solide contro il greenwashing.
In parallelo, la logistica si trova a patire il duplice ruolo di vittima dell’instabilità normativa e di attore chiave della transizione ecologica: senza linee guida chiare, però, si rischia di cadere nel paradosso del “greenhiding”, ossia la rinuncia a comunicare iniziative sostenibili per paura di sanzioni. Motivo per cui serve un equilibrio tra rigore ambientale e fattibilità operativa.