Mentre l’accordo tra Washington e Bruxelles continua a rimbalzare tra le due amministrazioni, il mare magno di dazi e accordi imposto dalla Casa Bianca al ‘resto del mondo’ ha già prodotto una serie di effetti tangibili sulle catene di approvvigionamento.
Una, in particolare, ha visto un interesse, per così dire, molto forte nei suoi confronti, ossia quella legata all’Automotive ed al comparto automobilistico in genere. Il mercato statunitense è d’altronde un pivot torno al quale ruotano diversi marchi – europei, giapponesi – i quali, perdendolo, dovrebbero ridimensionarsi notevolmente.
In pratica, la logistica dell’automobile si trova al centro di una trasformazione senza precedenti, perché i nuovi accordi commerciali e le revisioni tariffarie tra gli Stati Uniti e i principali partner industriali stanno di fatto ridisegnando le rotte, le strategie di approvvigionamento e le priorità produttive delle case automobilistiche e dei fornitori logistici. Ancora una volta, nello scenario che si è venuto a creare, la geopolitica non è più un fattore esterno che influisce sulle dinamiche industriali, bensì è essa in primis una leva operativa.
Resta da capire, per l’industria dell’auto ‘made in USA’, quanto la situazione porterà giovamento a lungo andare, considerato che molta della componentistica assemblata è comunque proveniente da una filiera internazionale e, dunque, soggetta a dazi con una ricaduta sul costo finale del prodotto finito sul mercato statunitense.
Per l’industria dell’auto europea si tratta invece di un nuovo colpo da assorbire che si accoda ad un periodo di crisi già conclamato per via della gestione non ottimale della transizione verso l’elettrico.
Una mappa commerciale in movimento
Entro l’inizio di agosto 2025 gli Stati Uniti hanno rinegoziato le tariffe con i principali partner commerciali, dalla Corea del Sud al Giappone e al Vietnam, dal Regno Unito all’Unione Europea, senza dimenticare Messico, Canada e, ovviamente, la grande concorrente Cina.
Ne è derivato un mosaico di dazi che varia dal 10% al 55%, con clausole, tetti e incentivi che finiscono inevitabilmente per influenzare direttamente le scelte logistiche.
Dando un occhiata ai rapporti con i singoli Paesi, la Corea del Sud ha dovuto accettare una tariffazione al 15% su veicoli e componenti, tutto sommato contenuta, ma con il contraltare ben più pesante di dazi al 50% su acciaio e alluminio (che l’industria automotive americana importa per costruire i telai dei veicoli).
A Seoul è richiesto un’investimento da 350 miliardi di dollari negli USA (di cui $200 miliardi nel campo dei semiconduttori) che suggerisce una possibile futura centralità della supply chain coreana.
Il Giappone, altro storico partner industriale nonché motore economico dell’area asiatica, deve fare i conti anch’esso con tariffe ridottesi al 15% e con un investimento da compiere del valore $550 miliardi; stante in questi termini la situazione, i produttori giapponesi come Nissan e Toyota privilegiano l’esportazione diretta verso gli USA, andando a ridurre la propria dipendenza da impianti produttivi in Messico e Canada, le cui produzioni dirette oltre il confine statunitense sono soggette alle meno vantaggiose tariffe USMCA, ferme tra il 25 e il 35%.
Tra i Paesi emergenti nel panorama delle delocalizzazioni, il Vietnam era stato ‘vessato’ con un dazio al 46%, ora ridotto ad un più mite 20%; tuttavia la clausola ‘anti trans-shipment’ (40% su merci riesportate da paesi terzi) limita le strategie di nearshoring nell’area ASEAN, ossia del Sud-Est asiatico, e questo avrà delle ripercussioni sulle rotte logistiche, che tenderanno a privilegiare altre soluzioni.
Per chiudere il panorama asiatico, con la Cina sono stati fissati infine dazi al 55% sulle importazioni in genere, ma spiccano quelli al 93.5% sulle esportazioni negli USA di grafite, che raggiungono addirittura il 700% per alcune aziende specifiche. La grafite entra in gioco nella filiera automotive soprattutto in relazione all’elettrico, essendo fonte di graffente per le batterie e, prima ancora, avendo doti di refrattarietà che la vedono impiegata a vario titolo nei sistemi hi-tech.
Gli USA dipendono quasi esclusivamente dalla grafite cinese, che copre il 90% del mercato statunitense: per questo Washington spinge verso un’inversione di tendenza perché sia incentivata una produzione interna, ma la transizione sarà lenta.
Per quanto riguarda casa nostra, ossia l’Unione Europea, la sospensione delle cosiddette tariffe di ritorsione su €93 miliardi di esportazioni USA e l’introduzione di un dazio statunitense appiattito sul 15% riducono i costi transatlantici, ridando uno slancio vagamente più ottimista ai produttori di auto europei. In compenso, le tariffe su EV e batterie cinesi complicano le rotte per quei produttori che si appoggiano a supply chain ibride.
Chi pare aver spuntato il dazio migliore è il Regno Unito, che ha di fatto siglato un accesso preferenziale al mercato USA riducendo il proprio dazio al 10%; tuttavia, Washington ha imposto ai marchi britannici un tetto alle esportazioni di 100.000 veicoli/anno.
Le conseguenze sulla logistica
Una prima conseguenza sull’architettura dei flussi di merci è il ridisegno delle rotte: le tariffe differenziate da nazione a nazione spingono infatti le aziende a rivedere la ragnatela delle rotte dello shipping. Ad esempio, l’esportazione diretta dal Giappone agli USA diventa più conveniente rispetto al transito via Messico o Canada, nazioni paradossalmente più vicine al mercato di destinazione. Allo stesso tempo, per quanto riguarda il Sed-Est asiatico, la clausola anti trans-shipment scoraggia l’uso di hub regionali per trilaterale le merci.
C’è, poi, un irrigidimento delle regole legate alla tracciabilità e alla compliance che porterà i fornitori logistici ad investire in sistemi di certificazione e audit, in quanto la tracciabilità diventa un asset competitivo, soprattutto per componenti ad alto valore come semiconduttori e batterie.
Inoltre, si pone una questione relativa alla capacità e all’allocazione delle merci: il tetto imposto al Regno Unito di 100.000 veicoli/anno introduce la nuova variabile della gestione dinamica dei volumi. In particolare durante i picchi stagionali di consegna, le esportazioni dovranno essere calibrate con precisione per non incorrere in sforamenti e penalizzazioni conseguenti.
Permane, infine, un generale rischio legato alla volatilità di tutti questi accordi; quello USA-Cina, in particolare, ma anche quello con Bruxelles, rimangono opachi. I dazi su grafite e terre rare possono cambiare “in qualsiasi momento”, secondo le dichiarazioni presidenziali. Queste affermazioni trasmettono instabilità alla pianificazione produttiva di EV e componenti elettronici.
Una richiesta di adattamento costante per la logistica
Il contesto che sta prendendo forma nell’arco di questo 2025 richiede alla logistica di essere sempre più flessibile e, per riuscirci, aumenta l’esigenza di essere digitale e integrata.
Le aziende produttrici – nel campo automotive e non solo – e quelle che operano nella Supply Chain si trovano a dover diversificare rotte e partner, ma anche a dover stanziare risorse per investire in tecnologie di tracciabilità e previsionali.
Inoltre, appare chiare che monitorare costantemente le evoluzioni normative è di vitale importanza anche solo per poter continuare ad operare con profitto nel contesto internazionale ed è difficile immaginare che ciò possa avvenire senza simulare gli scenari tariffari al fine di ottimizzare i costi e proporre ai propri clienti delle soluzioni percorribili e sostenibili.
In sintesi, la logistica automobilistica non può più essere guardata come una mera questione di trasporto: è diventata una disciplina strategica, dove tecnologia e pianificazione si intrecciano, con un occhio sempre aperto sulle questioni geopolitiche e le aziende che operano su più mercati oltreoceanici dovranno dotarsi di veri e propri servizi di intelligence.