L’introduzione dei dazi da parte degli Stati Uniti sta generando nuove pressioni sui porti europei ora che i disagi provocati dalla quasi totale anemia dei transiti da Suez stavano scemando e monitorare l’impatto sui grandi scali del Nord Europa ne può misurare l’entità.
Uno degli esempi più chiari è il Porto di Anversa-Bruges, che nel primo trimestre del 2025 ha registrato un traffico di 67,7 milioni di tonnellate, che rappresentano un calo del 4,0% rispetto all’anno precedente. Al contrario sono in crescita i container, del 4,6% in tonnellate e del 4,5% in TEU, ma sono i flussi di merce sfusa ad aver subito forti contrazioni: in particolare, il segmento ‘liquid bulk’ è sceso del 19,1%, con flessioni che interessano benzina, nafta e LNG.
Le tensioni globali, acuitesi parallelamente alle riorganizzazioni delle alleanze del trasporto containerizzato che hanno ridisegnato settore, hanno avuto come conseguenza tempi di stazionamento più lunghi che si traducono in una maggiore pressione sulle infrastrutture portuali.
I dazi USA non hanno ancora avuto un impatto drastico, ma si osservano alcune prime variazioni rispetto agli andamenti storici: le esportazioni di acciaio, ad esempio, hanno avuto un picco temporaneo a gennaio, mentre quelle di automobili verso gli USA sono diminuite del 20%, in linea con il calo generale dell’export di veicoli.
Savona-Vado e i porti mediterranei in difficoltà
Se il Nord Europa vede un impatto contenuto, i porti mediterranei, come Savona-Vado, affrontano una situazione più complessa. Questi scali, essenziali per il commercio transatlantico dell’Italia, potrebbero risentire di un impatto economico potenziale stimato in 4-5 miliardi di euro, dovuto in parte agli extra costi portuali e in parte alla riduzione degli scambi.
La frenata nel commercio di acciaio e prodotti industriali pesa in particolare sui traffici della Liguria, mentre le esportazioni italiane cercano di riequilibrare le rotte verso mercati alternativi.
Più in generale, i porti del Mediterraneo stanno vivendo una fase di incertezza. L’aumento della concorrenza asiatica, le difficoltà dell’industria europea e le tensioni sui costi energetici mettono sotto pressione il comparto. La situazione è aggravata dalle complesse normative UE, che, ora come ora, finiscono per rallentare l’adeguamento delle infrastrutture portuali alle nuove esigenze di mercato.
Strategie europee per mitigare la crisi
L’Unione Europea sta cercando soluzioni per limitare gli effetti negativi delle tensioni commerciali venutesi a creare.
Mentre Bruxelles punta ad una mediazione con Trump e cerca di tenere a freno i ‘falchi’ pro-strumenti anti-coercizione, nel mare magno delle opinioni c’è chi invoca il rilancio e la rivalutazione del progetto “Mediterraneo – Area di Libero Scambio 2010”, che puntava, nell’allora contesto del Processo di Barcellona del 1995, a ridurre progressivamente le barriere tariffarie tra l’UE e gli altri Paesi mediterranei.
Parallelamente, i principali porti, tra cui Anversa-Bruges e Rotterdam, sostengono la necessità di attuare il Clean Industrial Deal, un pacchetto di interventi pensato per rafforzare la competitività europea, ridurre i costi di produzione e incentivare gli investimenti nel settore portuale.
L’obiettivo è ripristinare una posizione strategica forte nel commercio globale, limitando la dipendenza dalle dinamiche statunitensi e asiatiche. Ovviamente, resta da vedere quanto le contromisure europee saranno sufficienti a contrastare i cambiamenti imposti dalle nuove politiche commerciali globali.
L’industria portuale europea si trova di fronte ad un bivio tra il trovare un equilibrio tra protezione economica e l’apertura ai mercati. Data l’estrema fluidità della situazione internazionale i prossimi mesi saranno decisivi per capire se il settore riuscirà a mantenere competitività e stabilità in questo contesto.