Il risultato tanto atteso è arrivato a coronare il vertice del 28 ottobre 2025 tra Stati Uniti e Cina, primo incontro bilaterale tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping dopo il ritorno del Tycoon alla Casa Bianca, nel quale il tema delle terre rare è stato centrale: molti l’hanno però definita una tregua mascherata da vittoria, secondo un costume cui ci ha ormai abituati ‘The Donald’.
Trump ha infatti celebrato l’accordo come una “risoluzione” delle tensioni, dichiarando che “non ci sono ostacoli sulle terre rare”: in realtà, le analisi dettagliate dell’accordo raggiunto tra Stati Uniti e Cina che circolano sulle testate internazionali, rivelano uno status quo fatto di concessioni reciproche, ambiguità strategiche e conseguenze sulla logistica globale tutte da valutare.
La Cina ha, di fatto, semplicemente accettato di ritardare di un anno l’implementazione di nuove restrizioni all’export di tecnologie strategiche per i minerali critici, mantenendo però in vigore quelle già introdotte ad aprile. Sarebbe più corretto dire, quindi, che l’accordo non elimina il problema, ma lo rimanda.
Concessioni reciproche: chi ha ceduto di più?
Per ottenere la sospensione cinese delle limitazioni sulle esportazioni di terre rare e tecnologie ad esse legate, Trump ha dovuto rinunciare a diverse misure coercitive già approvate nei confronti di Pechino e delle sue aziende.
Gli Stati Uniti hanno infatti congelato l’espansione della blacklist commerciale, che avrebbe colpito migliaia di aziende cinesi e, inoltre, hanno premuto il tasto pausa per un anno per quanto riguarda i dazi imposti alle navi cinesi che attraccano nei porti americani, una delle misure più feroci e clamorose adottate dalla Casa Bianca a trazione Trump-Vance – probabilmente, anche la più efficace nel dissuadere le compagnie armatoriali e gli spedizionieri ad utilizzare portacontainer Made in Cina: la mossa pareva studiata per favorire il ritorno degli investimenti sulla cantieristica navale USA.
È stata anche dimezzata la tariffa sul fentanyl, dal 20% al 10%, mentre i dazi generici – che in risposta alle restrizioni sulle terre rare Trump aveva rialzato a soglia 100% – scendono dal 57% al 47%.
L’insieme di queste concessioni, secondo alcuni analisti, rappresenterebbe in realtà qualcosa di ben diverso dalla ‘vittoria’ cantata da Trump, costituendo un indebolimento della posizione negoziale americana, soprattutto considerando che i vincoli più dannosi imposti dai cinesi restano in piedi.
I punti oscuri dell’accordo
Di strano c’è anche che, a oltre 24 ore dall’incontro, la Casa Bianca non aveva pubblicato alcun documento ufficiale, mentre il Ministero del Commercio cinese aveva diffuso un comunicato già il 30 ottobre.
Una differenza di tempistiche che i detrattori delle politiche trumpiane hanno letto come figlia di diversi stati d’animo, ossia di chi è sicuro delle posizioni mantenute – Pechino – e di chi deve trovare il modo di indorare la pillola al proprio elettorato – Washington.
Una generale assenza di trasparenza alimenta inoltre dubbi sulla reale portata dell’intesa: il rappresentante USA Jamieson Greer avrebbe in qualche modo ‘ammesso’ che la Cina non ha ceduto sulle restrizioni esistenti, e che l’accordo è più che altro una continuazione di promesse non mantenute.
L’ambiguità è evidente anche nella gestione delle licenze per le esportazioni: le aziende statunitensi, a giorni dall’accordo, continuano a segnalare ritardi e richieste burocratiche onerose da parte di Pechino.
Gli effetti sulla logistica globale
Dal punto di vista della materia principale dell’incontro, vale a dire le terre rare, la principale concessione cinese, che riguarda il rinvio di un anno delle tassazioni suppletive nei confronti delle navi statunitensi che fanno scalo in Cina per esportarle, dovrebbe rinormalizzare il loro smercio, per quanto si sia visto poco di certo al di là dei proclami.
A definire quali effetti avrà realmente l’accordo sudcoreano tra i due presidenti saranno i fatti dei prossimi mesi: Pechino dispone infatti di molti strumenti indiretti per ostacolare l’approvvigionamento di terre rare nell’industria occidentale – basti pensare all’affaire Nexperia nei Paesi Bassi.
Alcuni ex funzionari del Dipartimento del Commercio USA hanno persino messo in guardia da una possibile strategia cinese basata sulla paralisi delle licenze, che renderebbe l’accordo con Trump inefficace nella pratica.
Ad avere effetti immediati sulla logistica globale saranno in realtà alcune delle misure utilizzate come merce di scambio tra le due superpotenze, come la sospensione dei dazi sulle navi cinesi, che permetterà da subito alle compagnie marittime di operare con costi ridotti, favorendo il flusso di merci tra Asia e Stati Uniti. C’è chi ha però immediatamente notato come questo vantaggio potrebbe paradossalmente tornare a rafforzare la dipendenza delle filiere americane dalla produzione cinese, vanificando buona parte della politica pro-diversificazione della stessa Casa Bianca.
Inoltre, anche la riduzione della tariffa media sui beni cinesi rende la produzione in Cina più competitiva rispetto a nazioni come Brasile e India, dove i dazi USA restano al 50%. Leggendo così i termini dell’accordo, Xi Jinping pare aver messo a segno più di un punto a proprio favore.
Una partita ancora aperta tra ottimismo e scetticismo
Trump ha presentato l’accordo come una vittoria per l’economia globale, ma molti esperti sono scettici, compresi molti interni all’amministrazione, come l’ex membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Chris McGuire, che ha definito l’intesa “un precedente pericoloso”, in quanto lega i controlli USA su chip AI alle restrizioni cinesi sulle terre rare. C’è anche chi non vede il rischio per la difesa cambiato da giugno, come a dire che anche uno dei principali motori dell’agire trumpiano contro Pechino non ha trovato riscontro nell’intesa siglata con il presidente Xi.
Quel che appare chiaro è come l’accordo Trump-Xi rappresenti una procrastinazione del problema, non una soluzione: intanto, le restrizioni di aprile restano in vigore e quelle di ottobre sono solo rimandate.
In aggiunta, la Corte Suprema USA esaminerà presto la legalità dei dazi imposti da Trump, aggiungendo ulteriore incertezza. In questo quadro, la Cina rafforza la sua posizione negoziale, mostrando di saper giocare con abilità sullo scacchiere globale.



