La chiusura del 2025, in quanto a politiche ambientali nella navigazione, è all’insegna di quella che potrebbe essere definita come una situazione allo stesso tempo ‘complessa e contraddittoria’: l’ultimo trimestre dell’anno porta infatti con sé il rinvio del Net Zero Framework IMO, ma anche la votazione positiva riscossa dal Green Deal europeo, facendo già di per sé capire che il mondo sta rafforzando – e non appianando – le differenze di veduta sul clima.
Quello che si trova ad affrontare il settore marittimo è poi una doppia pressione, data, da un lato, dall’entrata in vigore dei criteri di certificazione CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) nell’Unione Europea e, dall’altro, dall’avvicinarsi delle scadenze per la rendicontazione delle emissioni Scope 3, che includono le emissioni indirette lungo la catena del valore.
Questa serie di obblighi impongono alle compagnie di navigazione una revisione profonda delle proprie strategie operative e di monitoraggio ambientale, malgrado lo scenario normativo ondivago che intralcia le decisioni di lungo termine, nel quale un allineamento definitivo dell’IMO – e degli Stati Uniti – sarebbe stato un grande elemento di chiarezza per gli investitori.
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La fotografia del settore: il report VesselBot
Un report, “Decoding Maritime Emissions, Q3 2025”, a cura della società di analisi marittima VesselBot, scatta una fotografia dello stato di salute del comparto marittimo in merito alle emissioni di CO2.
VesselBot ha analizzato 73.353 viaggi effettuati da 4.750 portacontainer tra luglio e settembre 2025, ricavando dai dati una stabilizzazione complessiva delle emissioni inquinanti in atmosfera totali (50,3 milioni di tonnellate di CO₂e, -0,2% rispetto al Q3 2024), nonostante un aumento del 2,3% nel numero di viaggi. Anche l’intensità media delle emissioni “well-to-wake”, ossia quelle prodotte lungo tutto il ciclo di vita del combustibile, dall’estrazione all’onboarding, è migliorata del 1,6%, attestandosi a 195,9 g CO₂e/TEU km.
Questi risultati sono attribuiti a due fattori operativi: tempi di navigazione più lunghi e riduzione dei tempi di sosta nei porti.
Tuttavia, l’efficienza dipende notevolmente dalla dimensione delle navi: le navi ‘feeder’ (ossia di capacità inferiore o uguale ai 2.999 TEU) hanno registrato mediamente un’intensità di 252,1 g CO₂e/TEU km, mentre le Very Large Container Ships (≥17.000 TEU) solo 61,4. Le VLCS, pur rappresentando solo il 2% dei viaggi, hanno coperto il 17,2% dei TEU km totali, evidenziando una superiorità in termini di efficienza.
Altra variabile fondamentale sono le rotte. Guardando l’analisi per tratta si rilevano differenze significative: i viaggi che vanno dall’Asia all’Europa del Nord durano in media 30,6 giorni e producono 55,3 g CO₂e/TEU km, contro una media industriale di 3,5 giorni, il che dimostra come le metriche aggregate possano nascondere criticità operative e ambientali, rendendo indispensabile un approccio granulare.
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CBAM e Scope 3: cosa significano
Proprio in semi contemporaneità arrivano adesso due scadenze: l’entrata in vigore dei criteri CBAM e la rendicontazione in funzione delle emissioni ‘Scope 3’.
Il CBAM o Carbon Border Adjustment Mechanism impone alle aziende che importano merci nell’UE di certificare le emissioni incorporate nei prodotti, penalizzando chi non rispetta gli standard ambientali europei. Per le compagnie marittime, ciò significa dover tracciare con precisione le emissioni per ogni singolo viaggio, nave e rotta.
Gli obiettivi Scope 3, invece, richiedono la rendicontazione delle emissioni indirette, come quelle generate dai fornitori di carburante o dalle attività portuali. Questo amplia il perimetro della responsabilità ambientale, spingendo le compagnie a collaborare con i partner e i fornitori per ridurre l’impatto complessivo.
In pratica, queste normative impongono una rivalutazione della flotta: le navi più vecchie e meno efficienti rischiano di diventare infatti economicamente insostenibili. Le compagnie dovranno investire in tecnologie di monitoraggio in tempo reale, ottimizzazione delle rotte e rinnovamento navale. Anche la scelta delle rotte diventa strategica: quelle più lunghe ma efficienti potrebbero risultare preferibili rispetto a tratte brevi ma ad alta intensità emissiva.
Il boomerang della frammentazione normativa
La mancata adozione del Net Zero Framework e, soprattutto, l’aperta critica fatta da Washington alla strategia di decarbonizzazione portata avanti dall’International Marittime Organization – tale da spingere l’amministrazione Trump ad affermare di essere pronta a far pagare dazio alle nazioni che avessero aderito – determina uno scenario frammentato, che lascia libera interpretazione in ciascuna realtà regionale del mondo in quanto a politiche ambientali marittime.
In virtù di questa atomizzazione dei provvedimenti, potrebbe verificarsi una situazione paradossalmente penalizzante per quelle compagnie che sono costrette ad attenersi alle regole, seppur giuste dal punto di vista ambientali, per operare sui mercati occidentali.
Un po’ come nel caso delle flotte fantasma che riciclano navi vetuste e fuori norma in mercati marittimi deregolamentati, la disparità di controlli potrebbe favorire una concorrenza inquinante e ad armi impari sulle rotte asiatiche e, peggio ancora, nordamericane.
Un problema che potrebbe scalfire marginalmente le grandi alleanze dello Shipping in virtù degli enormi volumi gestiti e dell’economia di scala che sono in grado di generare da sole, ma che potrebbe rivelarsi un autogol nella lotta all’inquinamento e un favore a quelle nazioni che operano sotto sanzione o al di fuori degli status di legalità e correttezza concorrenziale.



