Black Carbon e Artico: una scommessa globale tra COP30 e IMO

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Il tema del black carbon, inquinante atmosferico noto scientificamente come particolato carbonioso, con effetti devastanti sul breve termine ai quali è particolarmente sensibile l’Artico, è tornato al centro del dibattito internazionale.

La Clean Arctic Alliance ha lanciato un appello urgente agli Stati che si affacciano sulla parte più fredda del pianeta affinché guidino un’azione globale, dopo che nove paesi hanno firmato alla COP30 un impegno per ridurre le emissioni nei settori energia e trasporti. 

La partita si gioca ora tra le scadenze ravvicinate che sono chiamati a rispettare i Paesi membri  dell’IMO, l’Organizzazione Marittima Internazionale, e le decisioni cruciali che essa stessa è chiamata a dare con urgenza, in particolare per regolamentare i carburanti polari, dopo il sostanziale rinvio dell’adozione del suo Net Zero Framework.

Il Black Carbon Pledge della COP30  

Alla COP30, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Madagascar, Nigeria, Sri Lanka e Uganda hanno sottoscritto un impegno per tagliare le emissioni di black carbon. 

Ridurre l’immissione di questo inquinante in atmosfera comporterebbe benefici immediati: maggiore resilienza climatica, ricadute positive sulla salute pubblica e migliore qualità dell’aria. Soprattutto, rallenterebbe il processo di scioglimento dei ghiacci artici, sui quali il particolato carbonioso agisce violentemente attraendo e trattenendo il calore dei raggi solari.

Il segnale politico dato è comunque chiaro: il black carbon non può essere ignorato.  

La scadenza IMO e il ruolo dei carburanti polari  

Il trasporto marittimo è coinvolto in prima persona per via dell’impiego di carburanti polari, ossia composto da molecole cosiddette ‘apolari’, le quali consentono, sì, di operare con temperature di esercizio molto rigide, ma cheproducono moltissimo black carbon per via della loro combustione incompleta .

Gli Stati membri dell’IMO hanno una consegna stringentissima: essi hanno infatti tempo fino al 5 dicembre 2025 per presentare proposte sui carburanti polari, le quali saranno decisive al PPR 13 (l’IMO Pollution Prevention Response Commettee), previsto a Londra nel febbraio 2026, dove si stabiliranno regole vincolanti per la navigazione artica

La finestra temporale è davvero stretta e la pressione cresce: il Consiglio nordico dei ministri ha già chiesto ai governi di assoggettare i carburanti polari sotto alle regole MARPOL.  

Urge una leadership artica  

La Clean Arctic Alliance, attraverso la voce della Dott.ssa Sian Prior, ha sottolineato in occasione della COP30 come i governi artici – Canada, Norvegia, Islanda e Danimarca (ergo, Groenlandia) – abbiano l’opportunità e il dovere di comandare il cambiamento verso una navigazione più rispettosa dell’ambiente polare. 

La richiesta è chiara: proporre regole forti e vincolanti che impongano l’uso di carburanti ‘puliti’ nelle acque artiche. Quel che si rileva è, infatti, l’inconsistenza dell’azione degli enti preposti a fornire delle regole: dopo oltre un decennio di studi e discussioni, l’IMO stessa non ha ancora regolamentato le emissioni dovute alla navigazione nei mari del nord.  

Carburanti alternativi e benefici immediati  

Eppure i benefici ci sarebbero per tutti. La proposta centrale che arriva dai Paesi artici ruota attorno all’introduzione di una regolamentazione obbligatoria dei carburanti polari sotto il MARPOL Annex VI.

Carburanti come DMA, DMZ o nuove soluzioni a basso profilo di black carbon potrebbero garantire riduzioni rapide delle particelle emesse, in attesa che la decarbonizzazione a lungo termine faccia progressi. 

Un recente rapporto di Pacific Environment, ‘On Thin Ice: Why Black Carbon Demands Urgent Action’, avverte che l’espansione della navigazione artica – recenti le iniziative cinesi per l’apertura di collegamenti permanenti attraverso i mari glaciali, mentre il grosso delle esportazioni russe, flotta fantasma compresa, solcano proprio i mari del Nord – sta aumentando l’inquinamento

Gli effetti sono quasi immediati, perché il deposito di black carbon su neve e ghiaccio ne accelera lo scioglimento, minacciando gli ecosistemi e le comunità.  

Una sfida globale con ricadute locali  

La regolamentazione dei carburanti polari non è solo una questione tecnica, ma un banco di prova politico e morale

L’Artico è un ecosistema fragile, ma anche un simbolo della lotta globale contro il cambiamento climatico. Agire ora significa proteggere non solo ghiacci e biodiversità, ma anche le popolazioni che vivono in queste regioni e che subiscono gli effetti diretti dell’inquinamento.  

Nellla cornice della COP30 è stato dato un segnale politico, ma la vera prova sarà all’IMO, dove gli Stati artici dovranno dimostrare leadership e visione.

Regolamentare i carburanti polari costituirebbe un passo concreto e immediato per ridurre le emissioni, rallentare lo scioglimento dei ghiacci e garantire benefici climatici e sanitari. L’Artico ha già aspettato: la finestra di azione è ora.  

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