Boston Consulting Group, dalla pandemia una lezione per la resilienza della Supply Chain globale

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In un nuovo report la firma di analisi statunitense analizza come le aziende che compongono la catena di fornitura a livello globale possano (e debbano) imparare dalla pandemia. Meglio piccoli costi extra che non disporre del giusto livello di resilienza

È la volta del Boston Consulting Group (BCG), importante firma di consulenza mondiale, analizzare come il più grande domino che abbia coinvolto l’intero pianeta – ossia la pandemia di COVID-19 – debba fungere da spunto per ridisegnare il concetto e le strategie di resilienza della Supply Chain globale.

Il punto di fondo è, a ben vedere, uno dei principi più antichi ma inapplicati della storia umana, vale a dire imparare dai propri errori.

Identificare i propri punti di debolezza, che spesso sono connaturati alla comodità di compiere un’azione piuttosto che un’altra, porta a dei costi senza dubbio: altrettanto indubbio, secondo BCG, è che tali sforzi siano ampiamente surclassati dai benefici di ritorno.

Imparare dalla pandemia: elementi di resilienza di base

BCG pone l’accento sull’indeterminatezza del futuro, affermando una cosa apparentemente scontata, ma vera: nessuno sa quale, quando e dove sarà il prossimo evento in grado di mandare gambe all’aria il sistema produttivo e distributivo mondiale.

Scommettere che tutto andrà sempre bene è palesemente la scelta più ceca, quindi occorre fare tesoro dell’esperienza appena vissuta.

I manager che si occupano di Supply Chain devono innanzitutto mettere a fuoco quale sia l’attuale livello di resilienza delle loro catene di fornitura con una visione ‘end-to-end, ossia considerando gli estremi di tutto il processo, impostare degli obiettivi futuri per la resilienza e quindi sviluppare un piano per raggiungerli.

In questo quadro la differenza può effettivamente essere fatta dalla digitalizzazione della Supply Chain, nell’ottica di modellare i possibili scenari di stress ed operare cambiamenti in tempo reale; tra le operazioni più redditizie, BCG identifica la visibilità dei flussi di dati sul processo (la ‘E2E supply chain visibility’), la ri-ottimizzazione in chiave digitale dell’inventariato, la rimodulazione dell’impatto ambientale della produzione.

Si tratta di operazioni che portano con sé costi accessori, superati però dai vantaggi che complessivamente comportano.

Diversificare la resilienza su più fronti

I legami geografici e produttivi con i fornitori sono i primi due fronti sui quali un supply chain manager accorto dovrebbe intervenire nel ridisegnare strategicamente la propria catena di fornitura.

Per quanto riguarda l’approvvigionamento primario di materie, uno dei punti evidenziati dall’esperienza pandemica è la dipendenza da network di fornitori riconducibili tutti alla stessa area geografica.

Un primo cambiamento da affrontare è quindi riguardante una nuova rete di fornitori e sub-fornitori che si avvicinino al mercato finale sul quale il prodotto andrà distribuito: si tratta, in pratica, di accorciare la lunghezza della catena di trasmissione.

Non solo: il secondo aspetto importante è istituire più canali paralleli. BCG evidenzia infatti come sia strategicamente utile avere un parterre di potenziali produttori alternativi a quelli primari, da tenere pronti con dei contratti ‘di riserva’, che li chiamino in gioco in caso di default tecnico delle prime linee.

Un concetto se vogliamo banale: come per le squadre di calcio, la panchina può fare la differenza.

Infine, lo stoccaggio delle scorte. Dopo decenni di produzione ‘just-in-time’, il COVID-19 ha riportato alla luce l’importanza di avere delle scorte stoccate in prossimità dei mercati finali. Ha costi maggiori della produzione in sola risposta all’ordine effettuato? Certo, ma inferiori a quelli portati da una ‘chiusura dei rubinetti’.

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