“Crowd-shipping”: siamo tutti corrieri

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Qualche settimana fa ho sperimentato, come cliente, un servizio di consegna a domicilio di alcuni piatti preparati da un ristorante della mia zona.
La consegna è stata e ettuata da mister “x” studente universitario che, sulla via di ritorno a casa, si è reso disponibile da fare la consegna per pochi euro.

All’estero questo fenomeno, noto come crowd-shipping, è in grande sviluppo soprattutto nelle grandi aree metropolitane, in cui la massa di pendolari rappresenta un operatore logistico virtuale per l’ultimo miglio a capacità quasi infinita.

Piattaforme come Uber, Lyft, Zipments sono “corrieri in atto” ossia soggetti freelance quali studenti universitari, pensionati o liberi professionisti aperti “mentalmente” a condividere i loro 3 asset logistici: lo spazio nel bagaglio, lo smartphone e il tempo libero.

Il crowd-shipping è un bellissimo esempio di sharing economy, in cui la risorsa “capacità di trasporto” viene messa in condivisione grazie alle piattaforme digitali su cui poggiano alcuni player del commercio on-line. Secondo un recente studio, un servizio di questo genere per l’ultimo miglio può costare in media la metà del costo per una società di express courier.

Questa logica è tuttavia attualmente “bandita” da molti paesi europei, mentre è largamente di usa negli Stati Uniti e in Cina, grazie alle loro politiche liberiste. Vi è evidentemente
un problema legale legato al “contratto di trasporto” e al passaggio di responsabilità. Ma credo che prima o poi anche questo nodo verrà sciolto.

Con il crowd-shipping, poi, tutto è open source: banalmente, non occorre costruirsi una piattaforma IT dedicata per il tracking della consegna in quanto esistono già App disponibili e gratuite per monitorare la posizione del corriere free-lance attraverso il suo smartphone. E per il pagamento, tutto deve essere già avvenuto prima con le monete elettroniche, che sia PayPal o via Bitcoins.

In attesa che l’onda arrivi anche da noi, per non trovarci spiazzati come i tassisti di Roma e Milano, potrebbe essere una buona cosa iniziare a pensare a soluzioni logistiche condivise tra più attori avendo in mente il modello di economia circolare sottostante al crowd-shipping. Vale a dire, ad una logistica “asset-light”, in cui lo spazio
di stoccaggio che mi serve per un polmone stagionale, ad esempio, lo trovo dall’azienda vicina. Oppure in cui condivido un ritorno di un viaggio, altrimenti a vuoto, dalla Sicilia al Veneto con un’azienda lontana.

Qui il nodo cruciale da sciogliere non è la disponibilità di spazio (abbiamo magazzini vuoti e camion che circolano semivuoti) bensì la “volontà” di condividere le informazioni in entrambe in sensi e a coordinare il flusso degli ordini secondo una logica collaborativa. La collaborazione, infatti, è un processo che coinvolge due o più business partner, inclusi gli operatori logistici, e che nasce con l’obiettivo di ottimizzare le performance della supply chain nel suo complesso. Le aziende che hanno capito il significato e ne hanno compreso i bene ci ora stanno lavorando per realizzarla, avendo ben chiaro che 1+1 > 2.

A curs di Prof. Fabrizio Dallari
Direttore del C-log, LIUC Università Cattaneo

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