Friendshoring: la delocalizzazione “amica”

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Nell’ambito della strategia occidentale di proteggere da blocchi o interruzioni le proprie supply chain si guarda con crescente attenzione ai paesi alleati o “amici” per una più sicura riallocazione produttiva

Le discussioni sono aperte da tempo: l’emergenza Covid-19 e le intensificate tensioni geopolitiche nell’area asiatica, le hanno semplicemente accelerate.

Concetti come nearshoring e reshoring, nati come possibili risposte al desiderio di avvicinare almeno una parte della produzione ai mercati di consumo, hanno avuto i loro esempi di attuazione ben prima delle odierne emergenze che, comunque, ne hanno sottolineato i rischi, la pericolosità e l’urgenza di porre in atto adeguate soluzioni.

Il tema di fondo era e rimane quello di una straordinaria dipendenza delle maggiori produzioni mondiali da un area soltanto, i cui problemi rischiano inevitabilmente di riflettersi sulle strategie e sulle attività di aziende e paesi posti a migliaia di chilometri, spesso in chiara difficoltà ad acquisire tutte le informazioni necessarie ad esercitare un effettivo e tempestivo controllo.

Gli Stati Uniti sono il paese che sta mostrando maggior fermento nell’attuare la nuova politica di spostamento degli investimenti in produzione e logistica sul proprio territorio e su quello dei paesi limitrofi, Messico in primo luogo. 

Lo testimonia la Dodge Construction Network che dichiara un aumento della costruzione di nuovi impianti produttivi negli Stati Uniti del 116% nell’ultimo anno. I settori più interessati, in quanto considerati critici, sono quelli della tecnologia, semiconduttori, forniture medicali, automotive ed aerospaziale.

Più complessa la posizione europea, che ha uno spazio d’orizzonte limitato ai paesi dell’est Europa, del Nord Africa e della Turchia che potenzialmente presentano costi del lavoro più contenuti e presenza di infrastrutture industriali e logistiche, anche se da potenziare.

Accanto a queste soluzioni, che necessitano di tempo per sviluppare gli investimenti relativi, si va facendo strada il cosiddetto friendshoring, vale a dire lo spostamento di alcuni interessi produttivi in paesi non necessariamente vicini geograficamente ma piuttosto considerati alleati e comunque “amici”.

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Grandi manovre in atto

Per comprendere appieno la portata di questo fenomeno emergente occorre però analizzare quanto sta accadendo nell’intera area del sud est asiatico e della Cina. 

Secondo una analisi realizzata da Xeneta, piattaforma di benchmarking delle tariffe di traporto sia aereo che marittimo, il commercio tra il Far East e la Cina tende a diventare più economico con il diffondersi di tassi a lungo termine intra asiatici.

L’osservazione degli analisti è che a causa delle crescenti tensioni geopolitiche si registri un costante allontanamento della produzione dalla Cina ed un aumento del friendshoring.

Un riscontro si trova nei numeri delle esportazioni in container verso gli Stati Uniti che pur cresciute nel quinquennio 2017-22 del 26%, riservano alla Cina solo un incremento del 7% e, all’estremo opposto, al Vietnam un tasso di crescita del 156%.

L’anno scorso, del totale merci containerizzate provenienti dall’Estremo Oriente negli Stati Uniti, il 56% è arrivato dalla Cina, con una flessione quantitativa di 10 punti percentuali rispetto al 2017, mentre il Vietnam ha visto passare la sua quota dal 6% all’11%.

Non a caso quest’ultimo è considerato un paese “amico”.

Così come lo sono Cambogia e Singapore, unici due paesi non coinvolti nella flessione (-15,3% su base annua) dell’import statunitense dal sud est asiatico nei primi due mesi 2023, entrambi in controtendenza con tassi di sviluppo superiori al 20%.

Malgrado ciò, la Cina a livello di esportazioni globali è riuscita a marzo di quest’anno a conseguire una performance fortemente positiva, pari al 15% su base annua.

La ragione è nel sostanziale spostamento delle esportazioni verso la Russia che hanno più che compensato le perdite del commercio con gli Stati Uniti.

Uno scenario che, tra l’altro, vede l’Europa ferma sulle stesse quote del 55,2% di esportazioni provenienti dal Far East sia nel 2022 che nei primi mesi 2023, segno questo di una politica attendista ed ancora non completamente definita.

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Un nuovo assetto internazionale

I movimenti in corso non sembrano fattori di poco conto soprattutto se affiancati al flusso degli investimenti esteri diretti (IDE) pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale.

L’analisi di Xeneta evidenzia come gli investimenti in società straniere in Cina siano scesi al livello più basso degli ultimi 20 anni crollando del 73%, nella seconda metà del 2022, su base annua. 

Per contro nei primi tre mesi del 2023, gli investimenti in Vietnam sono cresciuti del 61,3% su base annua ed a beneficiarne, in larga misura (75%), è il settore manifatturiero e di trasformazione.

A controbilanciare, poi, la carenza di strutture dei nuovi paesi partner rispetto alla Cina, sono in via di sviluppo progetti sia con investitori statali che privati, soprattutto per la costruzione di nuovi porti (Vietnam e Cambogia) ed ammodernamento con ampliamento degli attuali (Singapore) con l’obiettivo di poter consentire l’attracco delle navi più grandi e, grazie alle nuove tecnologie di cui saranno dotati, ottimizzare tempi di transito e costi.

Gli esempi citati forniscono casi concreti di friendshoring, che sembrano rispondere alla tendenza, rilevata dal Fondo Monetario Internazionale, di far affluire gli IDE verso paesi che condividono valori geopolitici con le nazioni degli investitori.

Quindi, un forte cambiamento destinato ad avere enormi ricadute sul commercio globale è già in atto anche se nel pieno rispetto della politica dei blocchi.

Fonte: xeneta.com

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