La Cina si avvicina con la Nuova Via della Seta

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La Cina si avvicina e lo fa sempre più rapidamente sviluppando una rete di corridoi multimodali con l’Europa in quell’ambizioso progetto che i vertici cinesi hanno battezzato Belt and Road e che noi chiamiamo anche Nuova Via della Seta

Un progetto per cui il Governo asiatico ha stanziato il corrispondente di cento miliardi di euro e che interessa strade, ferrovie, porti, aeroporti e piattaforme logistiche in sessantacinque Paesi del mondo.

Grazie a questo programma, il Mediterraneo torna a essere uno snodo importante dei flussi mondiali delle merci, sia come area di destinazione, sia come nodo di transito. In entrambi i casi, i porti di questo mare hanno notevoli potenzialità di crescita e l’Italia ha una posizione di primo piano come interscambio modale tra i container che viaggiano in mare e quelli che proseguono il loro cammino su strada o rotaia.
La riforma della Autorità Portuali attuata lo scorso anno va in questo senso, perché trasforma enti che prima gestivano solo le banchine in organismi che coordinano il trasporto in un’area più vasta, che comprende anche l’entroterra e i corridoi multimodali.

Però, accanto all’entusiasmo per le ricadute positive della Nuova Via della Seta deve nascere la consapevolezza che questo programma può avere risvolti meno brillanti. La considerazione che sta alla base di tale consapevolezza è che la Cina non spende somme a dodici zeri per far crescere l’economia italiana o europea, ma evidentemente lo fa per sostenere le esportazioni del proprio sistema produttivo, in un’ottica diversa da quella di essere semplicemente una fabbrica al servizio di multinazionali estere.

La Belt and Road rientra in una strategia geo-politica più ampia, di cui le attività di trasporto e logistica sono un pilastro fondamentale. Un concetto riassunto nella definizione della Cina data dalla geografa Deborah Cowen come un “impero logistico”, che calza perfettamente con l’essenza della Nuova Via della Seta. Non un dominio di territori attuato con la forza militare, o con la sua minaccia, bensì con la creazione di corridoi di trasporto caratterizzati da procedure standard e da un’elevata fluidità nella movimentazione delle merci, ai cui capi ci sono nodi d’interconnessione e strutture di smistamento dove la Cina ha una partecipazione diretta o comunque una forma indiretta di controllo, così da ottenere la sicurezza nel loro utilizzo.

Oggi, solo la Cina ha le caratteristiche per attuare un programma così ambizioso che richiede non solamente enormi risorse finanziarie e la diplomazia di una grande potenza, ma anche la dinamicità del capitalismo unita alla programmazione a lungo termine che solo un apparato statale può pensare e attuare. A ciò aggiungiamo che la Cina ha alle spalle un apparato di governo centrale con una storia bimillenaria e una solida filosofia (il confucianesimo) che lo sostiene.

I modi di realizzazione pratica di questa strategia il mondo della logistica li vede tutti i giorni, con uno sviluppo sempre più rapido.
Alcuni esempi sono la crescita vertiginosa dei porti container in Cina e il processo di aggregazione che il Governo sta attuando tra le compagnie marittime (con un andamento analogo anche nel trasporto aereo), l’aumento dei collegamenti ferroviari per container con l’Europa, la gestione diretta di porti e di società terminaliste europee (il caso del Pireo è esemplare), l’acquisizione di fondi immobiliari specializzati in logistica e la costruzione, tramite i colossi del commercio elettronico come Alibaba, di piattaforme. A fronte di questa strategia, l’Europa deve definirne una propria per evitare che la Nuova Via della Seta sia a senso unico, da oriente a occidente.

A cura di Claudio Corbetta

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