Pacchi low cost, la nuova stretta fiscale tra Italia e Ue

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La crescita esponenziale delle spedizioni a basso costo provenienti dall’Asia, in particolare dalla Cina, ha spinto l’Unione europea e il governo italiano a introdurre nuove misure fiscali e doganali

L’obiettivo è duplice: tutelare i consumatori dalla diffusione di prodotti non sicuri e garantire condizioni di concorrenza eque per le imprese europee. 

Le istituzioni comunitarie e nazionali stanno così ridisegnando il quadro normativo, con tasse e dazi che promettono di cambiare radicalmente il commercio elettronico transfrontaliero nei prossimi anni.  

Le motivazioni dietro la stretta  

Secondo il commissario europeo per la Giustizia e la Tutela dei consumatori, Michael McGrath, l’Ue non sta proteggendo a sufficienza i cittadini dall’ondata di merci non conformi che arrivano direttamente nelle case dei consumatori. 

Nel 2024 sono entrati nell’Unione circa 4,6 miliardi di pacchi di basso valore, il 90% dei quali provenienti dalla Cina e molti dei quali contenenti prodotti pericolosi, dai cosmetici ai giocattoli, per arrivare persino ad articoli illegali. La necessità di un intervento nasce quindi dalla tutela della sicurezza e dalla volontà di difendere le imprese europee da una concorrenza considerata sleale.  

Anche l’Italia si muove nella stessa direzione: il governo ha presentato un emendamento alla legge di Bilancio 2026 che introduce una tassa nazionale sui pacchi extra-Ue di valore inferiore a 150 euro

La misura mira a limitare gli acquisti low cost online e a proteggere i commercianti italiani, spesso penalizzati dai prezzi stracciati e dalle regole meno stringenti che riguardano i rivenditori asiatici.  

Gli obiettivi e le tappe dell’Ue  

L’Unione europea ha tracciato una roadmap precisa. Dal 1° luglio 2026 entrerà in vigore un dazio doganale fisso di 3 euro per ogni pacco extra-Ue sotto i 150 euro

La misura è temporanea e resterà valida fino all’adozione di una riforma più ampia che eliminerà la soglia di franchigia doganale

Entro il 2028, Bruxelles punta a creare un centro di tracciamento doganale europeo e a introdurre una commissione di gestione di almeno 2 euro per pacco. Parallelamente, la Commissione europea avrà maggiori poteri di indagine sui casi transfrontalieri più gravi, alleggerendo le autorità nazionali spesso sottofinanziate.  

Gli obiettivi e le tappe dell’Italia  

La manovra di bilancio, sulla falsa riga di quanto deciso in Europa, prevede una tassa di 2 euro per ogni pacco extra-Ue sotto i 150 euro. Formalmente il tributo sarà a carico del venditore, ma inevitabilmente verrà trasferito sul prezzo finale al consumatore. 

Secondo le stime, la misura interesserà circa 327 milioni di spedizioni, con un gettito di 122,5 milioni nel 2026 (anno di avvio graduale) e di 245 milioni annui dal 2027. Le nuove entrate saranno destinate anche al rafforzamento dei controlli doganali sulle microspedizioni. 

L’emendamento richiama esplicitamente il rispetto della normativa europea e, quindi, la tassa italiana dovrà essere armonizzata con il dazio comunitario per evitare sovrapposizioni.  

L’interazione tra normativa italiana ed europea  

La coesistenza di tassa nazionale e dazio europeo impone un coordinamento, in quanto l’Italia ha previsto una misura strutturale e permanente, mentre l’Ue ha introdotto un dazio transitorio. 

Entrambe le iniziative convergono verso lo stesso obiettivo: ridurre l’impatto dei pacchi low cost extra-Ue e rafforzare la protezione dei mercati interni. L’armonizzazione sarà necessaria per evitare una doppia imposizione e garantire coerenza tra regole nazionali e comunitarie.  

Le strategie delle aziende: il caso Alibaba  

Le nuove regole coinvolgono direttamente i colossi dell’e-commerce asiatico, come Alibaba, Temu e Shein. Nella fattispecie, Alibaba ha scelto un approccio pragmatico: non si oppone ai dazi e dichiara di adeguarsi alle decisioni europee e italiane. 

Al tempo stesso l’azienda ribalta la prospettiva, sottolineando che il suo core business in Europa non è vendere prodotti cinesi, ma, al contrario, esportare il Made in Italy verso la Cina; in effetti, nel corso del 2024 sono state più o meno 400 le aziende italiane che hanno sfruttato il sistema di piattaforme di Alibaba per vendere prodotti in Cina per un valore di 5,2 miliardi di dollari tramite, pari a oltre il 50% dell’export italiano di beni di consumo verso il gigante asiatico.  

Questa strategia consente ad Alibaba di presentarsi non solo come concorrente di Amazon e altri marketplace occidentali, ma anche come partner per l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Il gruppo evidenzia inoltre l’impatto positivo sul turismo attraverso Fliggy, la sua piattaforma di viaggi, che ha contribuito a un aumento del 61% dei visitatori cinesi in Italia nel 2024.  

I risultati attesi  

Le istituzioni europee e italiane puntano a ridurre l’ingresso di prodotti pericolosi e a garantire condizioni di concorrenza più eque: le nuove tasse e i dazi dovrebbero agire anche sugli acquirenti, scoraggiando gli acquisti compulsivi di articoli low cost e generare risorse per rafforzare i controlli doganali. Allo stesso tempo, le aziende asiatiche cercano di adattarsi, valorizzando il ruolo di ponte commerciale tra Europa e Cina.  

Il punto sarà trovare un equilibrio tra protezione dei consumatori, difesa delle imprese locali e mantenimento di rapporti commerciali con i grandi player globali. La stretta sui pacchi low cost segna l’inizio di una nuova fase del commercio elettronico internazionale, dove regole più severe si intrecciano con strategie di mercato sempre più sofisticate.  

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