Siamo agli sgoccioli, le elezioni presidenziali USA 2024 sono alle porte: comunque esse andranno, rappresentano un punto di svolta per il commercio globale, con due candidati, Donald Trump e Kamala Harris, che propongono approcci ben distinti alle politiche commerciali internazionali, ma accomunati da tratti protezionistici.
Le loro politiche avranno in ogni caso impatti significativi sulle catene di approvvigionamento globali, sui mercati europei e sulla logistica internazionale.
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Le possibili politiche commerciali di Trump e Harris
Facendo un rapidissimo punto sulle politiche che il candidato repubblicano Donald Trump potrebbe mettere in atto, i concetti salienti ruotano attorno ai dazi doganali, al protezionismo e alle politiche estera e interna, intesa come sicurezza.
Quello di Trump è un approccio di stampo populista, di cui si è già avuto dimostrazione nei suoi primi quattro anni di mandato, ma che vanno ritirati al netto di quanto accaduto nel mondo nei successivi quattro anni.
Trump ha storicamente sostenuto l’aumento delle tariffe su tutte le importazioni, proponendo dazi del 10-20% sulle importazioni generali e del 60% sui beni provenienti dalla Cina. L’approccio trumpiano potrebbe aumentare le tensioni commerciali e potrebbe avere come effetto collaterale di indurre le aziende a ripensare le strategie di approvvigionamento e fornitura.
Inoltre l’uso delle tariffe come strumento principale per negoziare i termini commerciali e affrontare obiettivi di politica estera potrebbe portare a restrizioni sulle importazioni dalla Cina e ad un conseguente aumento delle tariffe.
Per quanto riguarda Kamala Harris, ci si aspetta una almeno parziale continuità con le politiche di Biden: la candidata democratica dovrebbe continuare molte delle politiche commerciali dell’amministrazione Biden, con il commercio visto come strumento per supportare obiettivi ambientali, sociali, di produzione domestica e per la creazione di posti di lavoro.
L’approccio di Harris enfatizzerebbe probabilmente delle alleanze strategiche, con tariffe mirate per affrontare specifiche vulnerabilità delle catene di approvvigionamento e incoraggiare un approccio cooperativo.
Due strade per i commerci con l’UE
Dal nostro punto di vista di europei, l’elezione dell’uno o dell’altra porterebbe a conseguenze ben diverse. Sotto un’amministrazione Trump, un sistema di dazi rincarato e rivolto anche contro l’industria del Vecchio Continente potrebbero avere effetti negativi su diversi settori produttivi europei, in particolare quelli che hanno una forte esposizione nei confronti degli Stati Uniti come il lusso e l’agroalimentare. Le aziende europee potrebbero affrontare margini di profitto più stretti, in uno scenario fatto da costi operativi più elevati e da una produttività ridotta.
L’UE potrebbe rispondere a sua volta con misure ritorsive, aumentando le tariffe sui beni statunitensi, ma ciò condurrebbe ad una complicazione ulteriore delle relazioni commerciali transatlantiche.
Il panorama tratteggiato dalle analisi che vedono la democratica Kamala Harris vincere le elezioni, sono a tinte meno fosche per l’Europa, grazie ad una auspicata maggior stabilità commerciale.
L’approccio di Harris potrebbe offrire un ambiente più stabile, connotato da politiche meno votate all’imposizione di tariffe generalizzate e rivolto più a focalizzarsi su misure specifiche.
Si tratta di una politica che potrebbe favorire una maggiore cooperazione tra Stati Uniti e UE.
L’impegno di Harris verso le politiche green e la transizione energetica potrebbe anche influenzare positivamente le aziende europee nei settori dell’energia rinnovabile e dell’automotive elettrico.
Trump vs Harris: la Logistica e i mercati europei
Per le aziende europee, in entrambi i casi, potrebbe essere necessario dover adattare le catene di approvvigionamento per fare fronte alle nuove tariffe e alle tensioni commerciali.
In realtà, si parla delle stesse misure di prevenzione e di riduzione dei rischi di cui ormai le aziende della supply chain dovrebbero essersi dotate indipendentemente dalle elezioni USA.
Sia la diversificazione delle reti di fornitori, sia l’espansione delle capacità di produzione locali sono infatti temi già sul piatto della bilancia dai tempi della pandemia.
Con un’America votata al protezionismo, come pare che in ogni sarà in misura maggiore che in passato in tutti i casi, le aziende potrebbero essere spinte ad investire in infrastrutture per migliorare la resilienza delle loro catene di approvvigionamento e per ridurre la dipendenza dalle importazioni.
Comunque vada, le aziende dovranno sviluppare strategie di gestione del rischio per affrontare le incertezze politiche e commerciali, inclusa l’adozione di strumenti digitali come l’IA per approfondimenti predittivi.