Quantificazione del danno da responsabilità vettoriale

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Come può essere quantificata la liquidazione del danno da responsabilità vettoriale, nel caso in cui venga accertata la colpa grave del vettore, con particolare riferimento alla possibilità di addebitare al vettore stesso un importo pari al prezzo indicato nella fattura di vendita dei prodotti danneggiati durante il trasporto?

Il primo comma dell’articolo 1696 cod. civ. prevede che il danno da responsabilità vettoriale vada calcolato in base al “prezzo corrente delle cose trasportate nel luogo e nel tempo della riconsegna”.

Il secondo comma dello stesso articolo, peraltro, prevede che nel caso di trasporti nazionali il risarcimento dovuto dal vettore non possa “essere superiore a un euro per ogni chilogrammo di peso lordo della merce perduta”, mentre il quarto v comma dello stesso articolo dispone che il vettore non possa “avvalersi della limitazione della responsabilità prevista a suo favore dal presente articolo ove sia fornita la prova che la perdita o l’avaria della merce sono stati determinati da dolo o colpa grave del vettore o dei suoi dipendenti e preposti, ovvero di ogni altro soggetto di cui egli si sia avvalso per l’esecuzione del trasporto, quando tali soggetti abbiano agito nell’esercizio delle loro funzioni”.

È noto che la responsabilità vettoriale è configurata in base ai principi del receptum, cosicché “nel trasporto di cose, il mittente che domandi al vettore il risarcimento del danno patito in conseguenza della perdita della merce trasportata ha il solo onere di provare la perdita del carico ed il valore di esso, ma non anche di avere indennizzato il destinatario della merce per il mancato arrivo di questa a destinazione; spetta invece al vettore, onerato della prova del fatto impeditivo della pretesa risarcitoria, dimostrare che il mittente ha già percepito dal destinatario il prezzo della merce andata perduta o che il destinatario gliene ha chiesto la restituzione“ (Cass., 12 gennaio 2018, n. 702).

Occorre peraltro al proposito precisare che la responsabilità vettoriale, ed a maggior ragione la colpa grave del vettore, devono essere oggetto di accertamento giudiziale, con onere probatorio (per quanto concerne la colpa grave) a carico del soggetto che agisce per il risarcimento del danno: in questo senso è stato affermato che “ai fini dell’esclusione dell’applicabilità del limite legale al risarcimento da parte del vettore terrestre ai sensi dell’art. 1696 c.c., la colpa grave, equiparata al dolo, non può essere presunta ma deve essere provata, sicché non ricadono sul vettore bensì sul mittente i (maggiori) rischi connessi alle perdite o avarie per causa ignota” (Trib. Pinerolo, 2 aprile 2009, in Dir. trasporti 2009, 2, 501).

Una volta che sia stata accertata la colpa grave del vettore, nel liquidare il danno subito dal venditore dovrà farsi riferimento al prezzo corrente delle cose danneggiate.

In giurisprudenza è stato al proposito affermato che “ai sensi dell’art 1696 c.c., per stabilire il danno conseguente alla perdita o all’avaria delle cose trasportate, il giudice del merito può legittimamente fare riferimento alle risultanze della fattura emessa dal mittente (venditore) nei confronti del destinatario (acquirente), poiché corrisponde ad una presunzione semplice che nei normali rapporti fra imprenditori commerciali venga praticato il prezzo di mercato, quando si tratti di merci che hanno una quotazione risultante da mercuriali o quanto meno da contrattazioni largamente generalizzate” (Cass., 6 agosto 2015, n. 16554).

Sulla base di questo principio, affermato anche in precedenza dalla Cassazione, sembrerebbe di dover concludere che il risarcimento deve essere quantificato in base al valore di vendita.

La soluzione peraltro non sembra essere del tutto convincente, in quanto in questo caso il mittente/venditore potrebbe percepire un indennizzo superiore al danno effettivamente patito.

In giurisprudenza è stato al proposito affermato che “intanto il vettore è tenuto, in caso di perdita o avaria della merce trasportata, a risarcire il danno secondo il criterio indicato nell’art. 1696 c.c. in quanto si raggiunga – eventualmente per via presuntiva – la prova che per effetto della accertata perdita o avaria il destinatario ha ricevuto un pregiudizio economico, e cioè una perdita o un danno” (Cass. 27 ottobre 1998, n. 10692) e questo principio generale sembra poter trovare applicazione non solo con riferimento alla sussistenza stessa del danno, ma anche in riferimento alla sua esatta quantificazione.

Per completezza deve aggiungersi che in ogni caso non sarebbe legittima la prassi, peraltro diffusa, di compensare il danno da responsabilità vettoriale con i corrispettivi dovuti al vettore per i servizi resi in corso di rapporto senza che la responsabilità del vettore e l’entità esatta del danno subito dal mittente/venditore siano state oggetto di accertamento giudiziale, salvo il caso in cui tale meccanismo risarcitorio sia previsto dal contratto in essere tra le parti.

Ancora una volta si evidenzia quindi l’opportunità per la committenza di predisporre contratti adeguati per disciplinare il rapporto con i vettori di cui si avvalgono.

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