Il mese scorso a Roma il Freight Leader Council ha annunciato l’avvio dei lavori per la stesura del nuovo quaderno tematico sulla sostenibilità dei trasporti e della logistica. L’obiettivo è davvero sfidante: ricercare soluzioni che riescano contemporaneamente a tutelare l’ambiente e a salvaguardare i bilanci aziendali. Tuttavia il tema della green logistics, da tanto tempo oggetto di libri e convegni, raramente compare tra le prime 5 aree di intervento nelle agende dei direttori logistici.
Al di la delle soluzioni alternative al trasporto si gomma, degli investimenti in flotte di mezzi e carrelli a minor impatto ambientale, degli imballaggi a minor contenuto di materia prima non riciclabile e dei magazzini eco-sufficienti, le leve che i logistici possono adoperare per ridurre la loro impronta ecologica sono essenzialmente due: aumentare l’efficienza dei processi di movimentazione e trasporto e ridurre la quantità d’aria trasportata insieme alla merci.
Ebbene sì. Il nemico numero uno della green logistics è l’aria: quella che respirano le merci imballate nelle unità di carico non efficienti, quella che fodera i pallet all’interno di un semirimorchio Euro 6 insaturo e quella che abbonda all’interno dei container vuoti di rientro verso le fabbriche del mondo.
Ma come si può comprimere l’aria che la logistica trasporta ? Innanzitutto progettando unità di carico efficienti, a partire dal packaging primario, usando come indice di prestazione anche per la logistica il rendimento volumetrico del packaging (dato dal rapporto tra il volume netto dei prodotti trasportati e il volume lordo dell’imballaggio).
Non sempre, infatti, i logistici vengono coinvolti nel ridisegno del packaging, primario e secondario. E questo può comportare un imballaggio terziario (vale a dire le nostre unità di carico) non efficiente. Porto un recente esempio di un’azienda in cui la modifica dell’altezza dei cartoni secondari da parte dell’ufficio tecnico ha compromesso la possibilità di stoccare i prodotti nei drive-in del magazzino di fabbrica, richiedendo il soccorso di un operatore logistico per l’affitto di spazi a terra. Per pochi centimetri (=altezza del cartone) si è creata aria inutilizzata per diverse migliaia di metri cubi (= magazzino vuoto).
Ma l’aria contenuta nei cartoni e nelle unità di carico “inquina” quando viene trasportata, generando “n” volte i viaggi necessari per trasportare la stessa quantità di merce. In un recente studio per la Regione Lombardia sono state fatte alcune rilevazioni sul livello di saturazione dei mezzi impegnati nella distribuzione urbana delle merci. Oltre l’80% dei mezzi (tipicamente furgoni) viaggia con una capacità di carico inferiore al 50% a volume. Ma considerando che in media i colli trasportati dai corrieri hanno un rendimento volumetrico del packaging di gran lunga inferiore al 50% ciò significa che su 10 m3 di capacità del cassone solo 2,5 m3 sono di merce “pagante”.
E’ pertanto evidente che, prima ancora di ricercare soluzioni di efficienza energetica e ambientale negli ambiti di magazzino e trasporto, il primo passo da fare è quello di rivedere con un “occhio verde” gli impatti del packaging primario, secondario e terziario sull’intera catena end-to-end.
Una fonte di ispirazione è quella fornita da IKEA che da sempre propone i suoi articoli all’interno di imballaggi airless e che prevede di produrre da fonti rinnovabili il 100% dell’energia consumata entro il 2020 (oggi è al 42%). Già nel 1976, quando la tematica ambientalista era ancora di fatto assente dal discorso pubblico, il suo fondatore Ingvar Kamprad scrisse in una lettera ai dipendenti dicendo: “Lo spreco di risorse è un peccato mortale dell’umanità”.
Perché non farlo diventare il “mantra” anche per i logistici verdi ?
Prof. Fabrizio Dallari
Direttore del C-log, Università C. Cattaneo LIUC