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Shipping, nuovi colli di bottiglia nei grandi porti dell’Asia

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Foto di wasi1370 da Pixabay

Osservando più nel dettaglio la matrioska di dinamiche che contemporaneamente agiscono sullo Shipping, non passa inosservato il fatto che, ancora una volta, una buona parte dei problemi della catena di approvvigionamento globale dipenda dai colli di bottiglia portuali

È dal 2020 che l’infrastruttura mondiale degli scali marittimi container si è scoperta improvvisamente fragile e, com’è facilmente intuibile, per moltissimi scali porre rimedio al problema vorrebbe dire enormi investimenti in lavori di ristrutturazione colossali, a volte impossibili per la conformazione stesa dei porti.

C’è poi da dire che non si può dimensionare un’infrastruttura solo sui picchi eccezionali, che, in quanto tali, non costituiscono la norma operativa.

Tuttavia, a rallentare il flusso globale di merci in transito dall’Asia all’Occidente (Europa e Nordamerica) sono nuovamente i porti asiatici.

Cala l’inflazione, ma non sui noli marittimi

Il contesto è quello che vede i noli marittimi ed passaggi a bordo delle portacontainer costare quasi come durante la pandemia: al 13 di giugno, il Drewry Shipping Index segnava come triplicati rispetto al 2023 i costi di imbarco di un container da 40 piedi sia per quanto riguardava le rotte Asia-USA, sia per quelle Asia-Europa, con il record negativo della rotta Shanghai-Genova (che paga tutto il contraccolpo possibile della crisi del Mar Rosso).

Dunque, sui traffici marittimi insiste già una condizione di partenza svantaggiata dal punto di vista economico, cui si sommano e alla quale partecipano, in un gioco nel quale non si distingue mai chi è causa e chi effetto, notevoli problematiche logistiche.

Una di queste è la variazione delle rotte, l’altra è il richiamo di un gran numero di navi in Asia per coprire tratte ‘nuove’ o potenziarne altre finora secondarie verso l’Africa o l’America Latina, ad esempio, e un’altra ancora è il diverso scaglionamento delle partenze dei mercantili, fatti confluire in convogli per poter poi affrontare la navigazione attraverso il Mar Rosso o nelle acque limitrofe sotto scorta armata.

Aumenta la congestione dei porti asiatici 

Dunque, questa serie di cause porta uno stress aggiuntivo su alcuni scali asiatici, sebbene si stia parlando dei più grandi al mondo.

Nelle ultime settimane ad arrancare è Singapore, forse uno dei principali snodi marittimi per le merci che dall’Asia si smistano poi verso i continenti americano ed europeo: lo scalo della città-stato è arrivato a rimettere in funzione anche terminal dismessi pur di smaltire la massa di navi in attesa di attracco.

Il tempo medio di attesa per una nave prima dell’attracco è di 5 giorni, un lasso temporale inaudito, nel quale normalmente una portacontainer attracca, esegue le operazioni di rifornimento, sbarco e imbarco, e riparte.

Singapore non è però l’unico porto a soffrire in questo periodo: sono riportati tempi di attesa che variano dalle 24 ore ai 4 giorni anche nei porti cinesi di Ningbo, Shanghai e Qindao.

Va sempre tenuto a mente che stiamo parlando di scali posizionati in testa alla classifica mondiale dei porti più efficienti, dove l’efficienza è calcolata proprio in termini di tempo trascorso da una nave in banchina.

È chiaro che questa situazione di congestione ha dei contraccolpi, a sua volta, sul funzionamento della catena di distribuzione globale delle merci, contribuendo ad incrementare l’entropia del sistema.

Fonte: ttnews.com

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