Nel pieno del 2025, le catene di approvvigionamento globali continuano a essere scosse da tensioni geopolitiche, dazi e politiche protezionistiche.
In questo contesto, il reshoring — ovvero il ritorno della produzione nei paesi d’origine – è stato sbandierato come soluzione strategica per rafforzare l’autonomia industriale occidentale.
Tuttavia, secondo il recente Q4 Barometer pubblicato da QIMA, le strategie di reshoring, nearshoring e friendshoring sono lungi dal produrre gli effetti sperati. L’industria occidentale, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, si trova in una fase critica, dove le promesse di rilocalizzazione si scontrano con limiti strutturali, nuove barriere commerciali e una crescente instabilità globale.
Chi è QIMA e perché il suo report è rilevante
QIMA è un’azienda internazionale con sede a Hong Kong, specializzata in ispezioni, audit, certificazioni e software per la conformità delle supply chain. Fondata nel 2005 (originariamente come AsiaInspection), QIMA opera in oltre 85 paesi e collabora con marchi e rivenditori per garantire qualità, sicurezza e responsabilità sociale nella produzione globale.
Il suo Q4 Barometer è un report trimestrale che analizza, attraverso dati reali, come le aziende si stanno adattando alle sfide del commercio internazionale, monitorando flussi di approvvigionamento, attività di ispezione e tendenze di diversificazione.
Il reshoring tra teoria e realtà
Il reshoring è stato presentato come una risposta strategica alla vulnerabilità delle catene di approvvigionamento emersa durante la pandemia e aggravata dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. L’idea di riportare la produzione “a casa” o in paesi alleati (friendshoring) o vicini (nearshoring) prometteva maggiore controllo, sicurezza e resilienza.
Tuttavia, il report di QIMA mostra che le attività di approvvigionamento estero USA sono rallentate da agosto 2025, dopo aver registrato un picco a luglio (+22% anno-su-anno nelle ispezioni e audit), ma anche che il friendshoring si sta rivelando più difficile del previsto, con cali significativi nelle verifiche sui fornitori in agosto e settembre.
Di fatto, il nearshoring nelle Americhe rimane modesto, integrando, ma non sostituendo, la produzione asiatica.
Questi dati indicano che, nonostante le intenzioni, le aziende faticano a trovare alternative scalabili rispetto alla produzione cinese e asiatica.
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Le nuove sfide della diversificazione
Molte imprese stanno cercando di ridurre la dipendenza dalla Cina, spostando parte della produzione verso paesi del Sud e Sud-Est asiatico. Tuttavia, anche queste regioni stanno diventando meno stabili, principalmente per via dei nuovi dazi sul transhipment (ossia sul trasbordo merci) che complicano la logistica, a causa delle tensioni commerciali adesso in auge anche con l’India, che minacciano la continuità dei piani di diversificazione, e per la capacità produttiva limitata nei paesi “amici”, che impedisce una transizione rapida e su larga scala.
In Europa, la situazione è simile: le aziende europee, pur cercando di rafforzare la produzione interna, si scontrano con costi elevati, carenza di manodopera qualificata e dipendenza da materie prime estere.
Lo stato di salute dell’industria occidentale
L’industria occidentale si trova in una fase di transizione incerta. Le politiche protezionistiche, i dazi e le tensioni geopolitiche stanno generando un aumento dei costi di produzione, ritardi nelle consegne, difficoltà nel mantenere standard di qualità e rischi reputazionali legati alla sostenibilità e ai diritti dei lavoratori.
In particolare, settori come l’elettronica di consumo, l’automotive elettrico, il tessile e il packaging stanno soffrendo per la mancanza di fornitori affidabili e per l’instabilità dei flussi commerciali.
Geopolitica, resilienza e realismo
Il report di QIMA sottolinea un punto cruciale: mentre le politiche di Washington dominano le cronache, le alleanze emergenti tra altre grandi economie – come quelle tra paesi BRICS o tra nazioni del Sud globale – potrebbero avere un impatto più profondo e duraturo sulla stabilità del commercio internazionale.
Questo significa che il reshoring non può essere solo una risposta tecnica, ma deve essere accompagnato da una visione geopolitica e industriale di lungo periodo.
Il reshoring, il friendshoring e il nearshoring sono strumenti utili, ma non risolutivi. L’industria occidentale deve affrontare la realtà: la globalizzazione non si può disfare in pochi anni e la costruzione di supply chain resilienti richiede investimenti, cooperazione internazionale e innovazione.
Il report di QIMA vuole suonare come un campanello d’allarme: senza una strategia integrata, il rischio è quello di una frammentazione produttiva che penalizza la competitività e la sostenibilità.