Time To Recover e Time To Survive anche per la Supply Chain

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Si parla di resilienza sempre più spesso, ma quali i parametri per valutarla? La necessità di non ripetere il default provocato dalla pandemia sottolinea la necessità di avere uno standard nazionale

Perché se per scongiurare una nuova crisi economica su scala mondiale dopo il 2008 sia il governo degli Stati Uniti che dell’Unione Europea hanno introdotto degli stress test per le banche, questo non si dovrebbe fare anche per la supply chain?

La domanda, più che legittima, arriva proprio dall’altra sponda dell’oceano, dove le pagine della Harvard Business Review danno spazio all’interrogativo «come evitare che il sistema industriale sia nuovamente vittima di un globale effetto domino?».

Imparare dal passato: modelli sbagliati 

Forse sarebbe più corretto dire: ‘modelli non adeguati a tutte le circostanze’. Infatti il punto di debolezza strutturale più evidente dell’industria – europea, asiatica, americana che fosse – è stato il rovescio di quella stessa medaglia che sino a quel momento l’aveva fatta prosperare.

Come abbiamo già analizzato in altri articoli, aver ‘smagrito’ la supply chain globale nel nome del taglio dei costi, subordinandola alla produzione just-in-time (ossia in sola risposta all’ordine dell’acquirente, eliminando le eccedenze di scorte considerate solo in virtù del loro onere di stoccaggio), ha portato ad avere un sistema senza fondamenta, dipendente dall’hic et nunc e con il cuore produttivo distante centinaia di migliaia di chilometri dal cervello, in regioni spesso instabili dal punto di vista geopolitico o sanitario.

Di fatto, si è consolidato un sistema industriale e logistico che basa le proprie previsioni solo sullo storico dei dati, ma senza capacità di considerare gravi anomalie: in parole povere, tutto funziona finché non ci sono imprevisti.

Time To Recover e Time To Survive

Gli esempi dell’inefficacia di questo modello è facile da dimostrare: tornando indietro di qualche anno basta richiamare alla memoria il black-out nelle forniture subìto dall’industria automotive a seguito del terremoto che colpì il Giappone nel 2011, oppure, con minor sforzo mnemonico, la cronica assenza di dispositivi di protezione per il personale medico nel pieno della pandemia di SARS-COV-2.

Ma esistono dei parametri oggettivi per valutare la capacità di un’industria o di una supply chain di resistere e reagire ad un imprevisto?

Esistono: si chiamano TTR, ossia Time To Recover, e TTS, Time To Survive. Il primo parametro indica il tempo stimato necessario a riprendere piena funzionalità dopo uno stop, a seconda della causa; il secondo quantifica il tempo che un’attività può lasciar passare senza ripristinare determinate funzioni prima di collassare definitivamente.

Avere idea di quali siano questi due valori è fondamentale non soltanto perché dona consapevolezza dei propri reali mezzi: consente infatti di incrementarli con le giuste strategie, simulando diversi scenari possibili.

AAA, stress test super partes cercasi

Il punto della questione è, però, che non basta affidarsi alla lungimiranza ed alla voglia di migliorarsi della singola azienda o catena logistica.

Dopo la crisi economica del 2008 sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea sono stati elaborati ed introdotti degli stress test standardizzati rivolti al sistema bancario: l’obiettivo è far sì che non si ripeta quanto accaduto, monitorando il sistema e accendendo dei campanelli d’allarme laddove serva.

Negli Stati Uniti la Federal Reserve dettaglia precisamente questi test, dando anche indicazioni precise sulla loro applicazione; d’altronde, ne va della tenuta dell’intero sistema finanziario.

Come si suol dire, a questo punto basta fare 2+2: perché non introdurre, a nome di un entità sovranazionale, nel caso della UE, a nome del U.S. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti (come suggeriscono gli autori dell’articolo sulla HBR), uno standard di valutazione della resilienza – ossia dei TTR e TTS – del sistema industriale?

Ovviamente ci sono moltissime variabili da tenere in considerazione, a partire dalle singole realtà regionali e dalle priorità economiche e strategiche di ciascuno, ma anche questo fa parte dello sviluppo della cosiddetta ‘sostenibilità’.

Evitare un altro lockdown nelle filiere è possibile, ma non semplicemente fingendo che il problema non esista.

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