Nel panorama internazionale della logistica e della supply chain ridisegnata dai nuovi equilibri e dalle rotte riorganizzate attorno agli assi commerciali intra-asiatici e del blocco BRICS, l’India è emersa con forza come attore strategico e potenziale leader globale.
Durante la crisi del Mar Rosso i porti indiani si sono ritrovati a poter fare da centri di transhipment per i traffici tra Oriente ed Occidente, ricevendo investimenti privati e pubblici che ne hanno potenziato le capacità, sebbene la realtà infrastrutturale dei retroporti sia ancora lontana da una competitività di caratura internazionale.
In questo quadro, la recente International Procurement and Supply Chain Conference (IPSC), organizzata da Blue Ocean Corporation e ASSOCHAM, ha messo in luce una trasformazione profonda e accelerata del settore indiano, che vale la pena osservare anche dal punto di vista italiano.
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Logistica indiana, da cost-driven a value-based
Il primo fatto di cui tenere conto è la mutazione in atto della Supply Chain di Nuova Delhi. Storicamente orientata alla riduzione dei costi, la logistica indiana sta infatti virando verso un modello ‘value-based’, dove la sostenibilità, la tecnologia e la resilienza diventano pilastri fondamentali. Secondo la presidenza del Consiglio Manifattura e Beni Capitali di ASSOCHAM, questa evoluzione è essenziale per competere con fiducia sui mercati globali.
L’altro punto importante è dato dalla presa di coscienza dell’importanza di una Supply Chain integrata, qualificata e guidata dalla tecnologia, per cui l’India sta investendo nella formazione accademica, collaborando con le università per introdurre standard educativi internazionali nei curricula. Questo approccio, che è sistemico, vuole partire dalle aule per arrivare alle boardroom, secondo un modello che è replicabile anche in realtà più vicine a noi: in Italia, per dire, spesso la formazione logistica è frammentata e poco allineata alle esigenze del mercato.
La strategia indiana offre, paradossalmente, degli spunti anche per il contesto europeo, senz’altro maturo e non paragonabile da questo punto di vista, ma troppo spesso vincolato da rigidità normative e infrastrutturali: una certa capacità di ripensare le reti di approvvigionamento come leve di equità e innovazione può stimolare nuove strategie anche nel nostro Paese.
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Partnership strategiche e visione globale
La collaborazione tra India e Regno Unito, proseguendo una tradizione secolare di rapporti tra l’ex-colonia e la potenza europea, dimostra come le sinergie internazionali possano accelerare la crescita.
Di fatto, anche l’Italia, con la sua expertise manifatturiera e il posizionamento strategico nel Mediterraneo, potrebbe inserirsi in questa dinamica, traendo vantaggio da partnership con attori indiani, sia in ambito tecnologico, sia formativo.
Leadership e capitale umano: il ruolo dei giovani
Blue Ocean, che tra i board member annovera l’ex capitano della nazionale indiana di cricket, ha portato una prospettiva incentrata sulle nuove leve: la leadership nella supply chain richiede visione, collaborazione e soprattutto il coinvolgimento delle nuove generazioni.
L’India dispone di un capitale umano giovane e molto dinamico, che è visto come il motore del cambiamento. Da questo punto di vista, Nuova Delhi vanta un enorme bacino di talenti dal quale attingere e da valorizzare, per altro fortemente orientato alla scalata sociale tramite la formazione superiore – l’India sforna tra i migliori ingegneri al mondo, per dire.
Il contrario di quanto sta avvenendo da alcuni decenni in Italia, dove il settore logistico soffre spesso di carenza di talenti, e sarebbe oltremodo urgente investire in programmi di formazione, empowerment e attrazione per i giovani professionisti.
Qualche appunto – e spunto – per l’Italia
Osservando la dinamicità e la fame di crescita di una nazione enorme come l’India, che soffre di grandissime diseguaglianze al suo interno – sociali, ma anche infrastrutturali – un Paese ben più ‘strutturato’ ed esperto come l’Italia può comunque trarre delle ispirazioni o, comunque, constatare il diverso entusiasmo e approccio alla competitività.
L’India sta cercando di dimostrare che una visione chiara e una governance flessibile possono trasformare un settore in pochi anni, improntando le proprie azioni all’agilità strategica.
Altro fattore cardine è l’investimento nella formazione, per creare una filiera educativa coerente e aggiornata che sia fondamentale per sostenere l’innovazione nei settori industriali di interesse nazionale.
Allo stesso modo, la tecnologia viene vista come ‘abilitatrice’, in quanto l’adozione di soluzioni digitali e data-driven è ormai considerata imprescindibile.
Infine, sorge il suggerimento che le nazioni tradizionalmente avanzate, come la nostra, debbano iniziare a guardare a Paesi come l’India non solo come ad un potenziale mercato, ma anche come partner strategico. Il rischio è quello di sottovalutarne le capacità e di ritrovarsi un domani a dovervi competere, con uno squilibrio di forze che, per scala, è paragonabile a quello cinese.
Di fatto, la crescita della Supply Chain indiana non è solo una notizia economica: è un segnale di cambiamento globale. Per la logistica italiana può rappresentare un’occasione per ripensare modelli, strategie e relazioni internazionali, dato che, in un mondo sempre più interconnesso, chi sa cogliere queste dinamiche sarà in gradi di interpretare il futuro della logistica.