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Houti: una strategia per soffocare il Mar Rosso

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Foto di Konstantin da Pixabay

Da novembre ad oggi sono state circa 80 le imbarcazioni mercantili colpite dalle milizie Houti, una delle quali affondata: diversi i marittimi feriti e, novità delle ultime settimane, ai missili balistici ed ai droni si sono aggiunti i droni marini, barchini radiocomandati imbottiti di cariche da mezza tonnellata di esplosivo in grado di colare a picco una grande nave.

Parlare di Houti può sembrare anacronistico, in quanto non fanno più notizia: lo è solo in termini di sensazionalistici, ma non lo è per niente se si analizza il fenomeno ed il suo evolversi in rapporto alle rotte di navigazione che alimentano il commercio globale.

Commercio nei confronti del quale gli Houti e non solo hanno intrapreso una lotta senza quartiere.

7 mesi di instabilità nel Mar Rosso

Dopo il primo ‘strike’ compiuto dalla milizia supportata dall’Iran, è passata decisamente molta acqua sotto ai ponti delle navi. Il bersagliamento è continuo, le munizioni non paiono essere un problema per la formazione paramilitare yemenita, che spara missili del valore di mezzo milione, ma anche un milione, di euro a colpo senza apparenti problemi di approvvigionamento.

Da novembre ad oggi sono state istituite due task force, l’internazionale Prosperity Guardian e l’europea Aspides, con la partecipazione di portaerei, fregate, incrociatori delle marine militari più potenti dell’Occidente. Malgrado ciò, gli Houti non si fermano e, troppo spesso, vanno anche a segno, provocando magari pochi danni nella maggior parte dei casi, ma ottenendo un potente effetto deterrente sulle compagnie di navigazione che dovrebbero attraversare il Mar Rosso e dissanguando le riserve militari occidentali – la US Navy ha ‘sparato’ missili per un miliardo di dollari in sei mesi, tanto per dare un’idea.

Gli effetti sono tangibili e sono quelli di cui parliamo ormai da mesi: le rotte mercantili si sono ridisegnate in funzione dell’aggiramento dello Stretto di Suez, che ha perso circa il 67% dei transiti abituali, portando conseguenze a catena su tutta la logistica.

Il rischio paralisi del Mar Rosso

La vera notizia, che circola anche su quotidiani maggiori, sebbene non in prima pagina, è che gli Houti, dopo sei mesi di conflitto, non sono evidentemente un accozzaglia di guerriglieri facinorosi ma sgangherati, tutt’altro.

Con un ottica, come sempre, superficiale, erano stati etichettati così dall’opinione pubblica occidentale che, di fatto, poco o nulla sa di quanto avvenga oltre i propri confini nazionali, trascurando che la milizia sciita conduce una guerra sul campo in Yemen da anni, con l’evidente supporto dei Guardiani della Rivoluzione iraniani. Sono temprati da anni di raid aerei compiuti dalle aeronautiche di Emirati Arabi e Arabia Saudita, che, sulla carta, non hanno eguali nel mondo arabo per tecnologia ed armamenti.

Di fatto, gli Houti resistono e, anzi, attaccano anche, cambiando e adattando le proprie tattiche, imparando nuove strategie ed ammodernandosi di continuo. Non sono, insomma, un avversario semplice e sottovalutarli o non considerarli per quello che sono, ossia una tessera di una trama più grande, dietro alla quale sta probabilmente Teheran, li rafforza, non li rende più facili da fronteggiare.

Cosa succederebbe al commercio globale?

Intanto, partiamo da quello locale, osservando che, tra fine maggio ed inizio giugno, le tariffe dei noli marittimi per i container che da Shanghai viaggiano verso Genova sono del 200% abbondante al di sopra di un anno fa.

Praticamente, stiamo vivendo un ‘secondo Covid’, in quanto ad effetti sui costi di trasporto delle merci.

L’allungamento dei tempi di trasporto per effettuare il periplo dell’Africa e il diradamento dei convogli marittimi, fatti partire a tranches tutti insieme per essere scortati da navi militari, non sono le uniche cause dei rincari, ma costituiscono una base forte.

Ora come ora, tra costi vivi e assicurativi – le compagnie di assicurazione oggi chiedono l’1% del valore di un mercantile, anziché percentuali irrisorie come in passato – è come se si versasse un dazio agli Houti.

A livello globale, si stanno inaridendo alcune tratte commerciali e ne stanno nascendo di altre: dall’Asia verso gli altri Paesi dei BRICS i traffici sono aumentati e questo sta avendo effetti anche infrastrutturali che non saranno passeggeri.

Il Mediterraneo si sta chiudendo, in quanto le portacontainer, dopo il passaggio da Capo di Buona Speranza, tirano dritte verso i porti del Nord: gli scali del Sud del Mediterraneo vedono transitare molte meno navi e se Suez dovesse davvero essere soffocato completamente, perderebbero ancora traffici.

Il problema è che lo schema potrebbe ripetersi, rendendo sempre più caro e sconveniente portare merci via mare verso l’Europa dall’Asia. Chiaramente non si interromperebbero i traffici – non converrebbe a nessuno – ma in una logica di guerra ibrida sarebbe una mossa fors’anche più efficace di una sanzione internazionale.

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