Il cargo aereo prende quota, ma le merci italiane rimangono a terra

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L’IATA a febbraio 2024 ha registrato un forte +11,9% anno su anno, le compagnie di navigazione trasferiscono sempre più merci dalle stive navali a quelle aeree e l’Italia non ne approfitta. Perché?

I dati di crescita del trasporto aereo dedicato alle merci non sono positivi soltanto se messi a confronto con i tracolli dovuti alla pandemia di Covid, ma anche con il 2019, ossia l’ultimo anno ricordato come ‘a pieno regime’ per i traffici aerei. Tra febbraio 2024 e marzo 2024 si sono registrate – e la fonte è l’International Aviation Transportation Association (IATA) – percentuali positive a doppia cifra, sempre intorno all’11%, rispetto ad un anno fa: sono una diretta conseguenza dello stillicidio di attacchi che vessano le rotte mercantili nel Mar Rosso, che hanno portato un po’ delle merci ad allungare la navigazione, ma tante altre a prendere la via dell’aeroporto.

Dall’autunno 2023 ad oggi, sono tonnellate e tonnellate quelle che hanno cambiato vettore, passando dal mare all’aereo: d’altronde, volare costa più caro, ma la garanzia di arrivare entro i tempi prestabiliti aumenta la competitività, senza contare i rincari che si portano dietro le rotte ‘sicure’, che circumnavigano l’Africa.

Tuttavia, se la rotte marittime alternative tendono ad escludere il Mediterraneo puntando direttamente verso gli scali del nord Europa, con tutte le conseguenze del caso dirette ed indirette sull’economia italiana, pare che anche il traffico aereo sia difficilmente intercettato dagli scali italiani. Ciò malgrado gli aeroporti ci siano: a mancare sono investimenti, ampliamenti e, ancora una volta, una politica industriale capace di fare rete.

Dietro al Belgio

La fotografia della situazione si ricava dalle dichiarazioni pubblicate sia dall’Enac, sia da Assoaeroporti: in un momento decisamente propizio per il trasporto aereo cargo, l’Italia non riesce  ad approfittarne.

L’economia del Paese è vitale, le esportazioni in termini di tonnellate da imbarcare ci sono, come quelle in entrata; le rotte con l’Asia, le Americhe, l’Africa e il Medio Oriente dovrebbero essere floride e, invece, semplicemente saltano in buon numero gli scali dello Stivale.

Secondo Assoaeroporti, l’Italia non arriva ad imbarcare nemmeno un quinto delle tonnellate che la Germania carica nelle stive degli aerei cargo nei suoi aeroporti, siamo fermi alla metà di quelle del Belgio. L’Enac sottolinea come, di fatto, le merci in entrata varchino i confini nazionali su gomma, dopo essere state sbarcate in altri aeroporti europei.

Le potenzialità non colte: Malpensa e non solo

Qui viene il punto degli scali aeroportuali, Malpensa in primis. Di per sé, l’aeroporto milanese sta approfittando dei flussi in crescita, come dimostrano le 56.700 tonnellate transitate a gennaio 2024, record di sempre, anche in era pre-Covid.

Tuttavia, non è sufficiente per allinearlo alle prestazioni che altri scali internazionali d’Europa effettuano regolarmente: Amsterdam Schipol, il campione europeo, nel 2022 aveva pareggiato i volumi rispetto al 2019, recuperando dunque il gap dovuto al Covid, tornando su livelli da 490 tonnellate cubiche di merci (tra entrata e uscita). 

Il divario è imputato ad un’insufficienza strutturale degli scali italiani, che, nel caso di Malpensa, hanno presentato progetti di ampliamento, schiantatisi però contro le normative ambientali: nel suo Masterplan 2035, Malpensa vorrebbe allargarsi su ben 44 ettari, prevalentemente parte del Parco del Ticino, motivo cha ha spinto prima il Ministero dell’Ambiente, poi la Commissione UE, a rigettare il progetto.

Malgrado i tentativi del Governo, in particolare della quota Lega, di forzare la mano con decreti ad hoc, è la stessa Enac a far notare che la vera assente è una politica che punti a costruire una rete di infrastrutture. Più che scommettere sull’ampliamento ‘monstre’ – per altro a discapito di una riserva naturale – di uno scalo, per dare sfogo agli oltre 160 miliardi fatturati in esportazioni (nel 2023) dalla sola Lombardia, occorre potenziare e distribuire tanti aeroporti strategici – per esempio, quello di Brescia Montichiari, baricentrico nella regione e già ben collegato alle arterie stradali.

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