Il rilancio del Mediterraneo: un’opportunità per i porti italiani

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La regionalizzazione degli scambi e delle filiere produttive costituisce un’opportunità per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e per i porti italiani che vantano un posizionamento strategico

Uno studio di Cassa Depositi e Prestiti, presentato in questi giorni, analizza gli scenari economici mondiali ponendo in risalto i mutamenti che stanno intervenendo e le opportunità che ne possono derivare per l’area del Mediterraneo ed in particolare per i porti italiani.

L’analisi osserva che i paesi che si affacciano sule sponde extra europee del Mediterraneo dispongono di una molteplicità di caratteristiche e competenze per porsi come siti produttivi alternativi a quelli da tempo affermati dalla globalizzazione e, negli ultimi anni, sempre più in discussione.

La regionalizzazione degli scambi e delle filiere produttive avrà come naturale ripercussione un rafforzamento del traffico marittimo intra mediterraneo creando una grande opportunità anche e soprattutto per i porti italiani.

In questo nuovo scenario, osservano gli analisti di CdP, l’Italia per la sua posizione strategica potrebbe assumere un ruolo di hub logistico tra Nord Africa ed Europa continentale.

Per fare ciò è però necessario prendere coscienza dei nostri limiti e saper porre loro rimedio con un vasto piano di ammodernamento e sviluppo.

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Globalizzazione in crisi?

Il dibattito sull’eventuale crisi della globalizzazione è ormai aperto da tempo ma forse, mai come in questi ultimi tempi, ha subito una così forte accelerazione sia per l’esperienza indotta dalla pandemia Covid-19, sia per le tensioni geopolitiche scaturite a seguito del conflitto tra Russia e Ucraina, entrambe responsabili di numerose interruzioni delle catene di approvvigionamento.

Inoltre, il deterioramento dei rapporti tra i due maggiori player globali, Cina e Stati Uniti, sta portando ad un ripensamento di un’intera politica industriale basata su una troppo elevata dipendenza dei paesi occidentali da produzioni localizzate in Oriente ed in Cina in particolare.

Si vanno così affermando concetti quali il reshoring che mira a riportare le produzioni, almeno quelle più strategiche, nei paesi d’origine o in territori vicini (nearshoring) o a rilocalizzarle in territori di stati geopoliticamente affidabili (friendshoring).

Gli ostacoli sono molteplici, non ultimo quello del costo del lavoro fortemente competitivo che è stato il motore della localizzazione in Cina e nei paesi del sud est asiatico ma che oggi ha perso gran parte del suo iniziale vantaggio.

 

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Le nuove opportunità

Anche se, ad oggi, sono ancora relativamente pochi gli esempi di aziende che hanno realmente operato operazioni di reindustrializzazione o rilocalizzazioni da Oriente a Occidente, è indubbio che l’affermarsi di tale modello alternativo porterebbe a privilegiare la progressiva regionalizzazione della produzione e degli scambi.

In questo quadro acquista rilevanza la presenza di tutti quei paesi dell’area del Nord Africa e dei Balcani Occidentali, che nel tempo hanno sviluppato competenze produttive di rilievo per le industrie, in primis europee.

Paesi come Marocco, Algeria, Libia, Egitto cui si aggiungono Bosnia, Serbia, Albania e Turchia possiedono una dotazione di infrastrutture industriali e logistiche cresciute negli ultimi due decenni, grazie ad investimenti pubblici e privati, e si candidano, a ragione, ad assorbire produzioni rientrate nell’alveo occidentale.

Senza tener conto che alcuni di essi presentano un costo del lavoro ormai inferiore a quello cinese con l’ulteriore vantaggio di eventuali risparmi anche nei costi dei trasporti per la maggior vicinanza.

La loro presenza, afferma il rapporto di CdP, fa del Mediterraneo un’area centrale e ricca di opportunità.

 

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Porti italiani: pregi e difetti

Sino ad oggi a beneficiare maggiormente di un rafforzamento del bacino del Mediterraneo sono stati i sistemi portuali della costa orientale, cioè Grecia e Turchia e della sponda sud, Egitto e Marocco.

I porti italiani hanno fatto fatica ad intercettare i flussi di traffico marittimo soprattutto a lungo raggio, subendo la concorrenza del Pireo, degli scali spagnoli e di quelli nord africani di Port Said e Tanger Med.

Grazie al riassetto degli equilibri commerciali, hanno però l’opportunità di rientrare in gioco facendo leva sulla loro indiscussa leadership nel traffico marittimo a corto raggio, un settore in cui l’Italia è il primo paese in Europa per volume di merci movimentate con una quota del 14%, davanti a Paesi Bassi (13,5%), Spagna (10%) e Francia (7%).

Inoltre, l’Italia nell’ambito dello Short Sea Shipping può vantare il primato di disporre di 7 dei primi 10 porti Ro-Ro europei.

Ro-Ro è l’acronimo di Roll-on/Roll-off con cui si indica un particolare tipo di nave adibita al trasporto di autoveicoli, anche comprensivi di rimorchi, nella quale gli stessi entrano ed escono senza l’utilizzo di gru di carico e scarico.

Tale segmento è di grande importanza per combinare trasporto marittimo e stradale/ferroviario e per cogliere le opportunità legate alla rimodulazione dei flussi commerciali.

I porti italiani però devono cercare di rendere più efficienti i servizi offerti riducendo in particolare i tempi di stazionamento delle navi, oggi attestati mediamente su 1,34 giorni, che non sono competitivi rispetto, ad esempio, ai Paesi Bassi (0,62 giorni) ed alla Spagna (0,9 giorni)

Da potenziare sono anche i servizi in intermodalità e sviluppare le aree retroportuali.

Infine, l’elettrificazione delle banchine appare ormai un must da cui non si può prescindere. Basti pensare che a fine 2021 in Italia solo due banchine risultavano dotate di servizi di alimentazione onshore contro le 145 dei Paesi Bassi.

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