Supply chain in crisi: la rilocalizzazione è una risposta

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La crisi delle catene di fornitura dopo la pandemia ha posto in discussione alcuni aspetti della globalizzazione ed evidenziato la necessità di sperimentare nuove soluzioni, tra cui la “rilocalizzazione”

Qualcuno ha già coniato il termine “deglobalizzazione” per descrivere il trend che caratterizzerà l’economia e le attività industriali nei prossimi anni.

Forse, però, non è il caso di essere così drastici e pensare che un fenomeno vasto e complesso come la globalizzazione possa essere dissolto in breve tempo, rinnegando anche i benefici che la sua applicazione ha portato alle aziende ed ha consentito loro di operare a livello mondiale superando ostacoli e problemi.

Senza considerare i vantaggi che hanno prodotto, in termini di riduzione dei costi, processi quali l’esternalizzazione, in primo luogo delle attività produttive. Negli ultimi anni, tuttavia, la pandemia prima, le tensioni geopolitiche, poi, hanno messo a dura prova le supply chain evidenziandone limiti e criticità.

Dai lockdown figli dell’emergenza Covid-19 ai blocchi dei porti, dalla carenza di materie prime e dei chip ai prezzi impazziti dei noli e dei container, dalla guerra tra Russia e Ucraina alla crisi energetica, queste sono solo alcune delle difficoltà che le aziende mondiali hanno dovuto affrontare nell’arco di pochi anni ed a cui la maggior parte di esse era assolutamente impreparata.

Alla luce di ciò appare quindi comprensibile una riflessione sulla necessità di rivedere il modello di supply chain attuale dando maggior spazio ad una valutazione dei costi reali della delocalizzazione, cercando di minimizzarne i rischi e aprendosi anche alla valutazione di soluzioni alternative o complementari.

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Una ricerca sul tema

Capgemini Research Institute, società di consulenza globale, ha recentemente condotto un’indagine dal titolo “How greater intelligence could supercharge supply chains” che analizza come le organizzazioni con l’aiuto della tecnologia possano creare catene di fornitura resilienti, sostenibili e intelligenti, in grado di gestire le criticità e le interruzioni che ne derivano e adattarsi al tempo stesso.

L’indagine, che ha coinvolto mille gruppi internazionali di grandi dimensioni, con fatturato tra 1 e 50 miliardi di dollari, ha evidenziato che meno del 20% di esse si considera pronto a gestire l’impatto delle difficoltà e dei relativi cambiamenti. 

Un dato significativo, che premia i gruppi maggiormente localizzati, con accordi ad hoc per rispondere ad improvvise mancanze delle scorte e che si pone, da parte delle imprese, in una valutazione più realistica delle proprie possibilità e capacità a fronte delle vulnerabilità emerse.

Dalla ricerca emerge anche che tra le principali preoccupazioni delle aziende vi sono la riduzione delle emissioni di CO2 – citate dal 95% degli intervistati – in tutta la catena di fornitura ma solo il 13% si considera adeguatamente preparato per assumere misure coerenti di salvaguardia ambientale.

 

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La fine della globalizzazione?

L’analisi di Capgemini indica che è in atto una tendenza da parte dei maggiori gruppi ad aumentare il numero dei fornitori locali nel prossimo triennio 2022-25 che passerebbero dal 43% al 57%. 

Analogamente la distribuzione delle basi produttive, nello stesso periodo, potrebbe passare dall’attuale 43% sino ad un potenziale 56%.

Un trend che implica un notevole sforzo da parte delle aziende per gestire un fenomeno che, pur non abbandonando la via della globalizzazione, segna piuttosto una “rilocalizzazione”, riportando supply chain e basi produttive più vicine al mercato di destinazione finale.

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Capacità e strategie per una nuova flessibilità

Come gli stessi analisti sottolineano, la realizzazione di questo scenario richiede da parte delle organizzazioni capacità di selezione dei partner di prossimità i termini di affidabilità, resilienza, prestazioni e sostenibilità.

Tutte caratteristiche indispensabili per assicurare il corretto livello di flessibilità ed interoperabilità delle catene di fornitura.

Occorrerà, quindi, implementare una strategia in grado di effettuare una attenta analisi geografica della delocalizzazione, aumentando i livelli di scorte e dotandosi di piattaforme digitali per monitorare i flussi dei fornitori.

Il report evidenzia la profonda trasformazione di cui saranno oggetto le supply chain per affrontare il futuro ed offrire un servizio adeguato alle esigenze del cliente, al riparo il più possibile dalle “cadute” che si sono verificate negli ultimi anni.

In questo contesto la tecnologia sarà un fattore critico di successo, fornendo l’accesso alle informazioni in tempo reale, in modo da migliorare la capacità di prevedere i cambiamenti e contribuendo ad ottimizzare la pianificazione. 

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