La Cina delocalizza in Europa

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Mentre i paesi occidentali predispongono strategie di reshoring per riportare le produzioni in territori sotto il proprio controllo, la Cina decide di delocalizzare in Europa la componentistica auto, batterie soprattutto.

Che sia in atto una sofisticata partita sulla scacchiera mondiale per la conquista della leadership tecnologica e commerciale tra le grandi super potenze industriali, è un dato di fatto.

La pandemia prima, il conflitto in Ucraina e le crescenti tensioni geopolitiche, poi, hanno negli ultimi anni mostrato tutta la vulnerabilitĂ  a cui sono esposte le catene di approvvigionamento globali.

Interruzioni, blocchi produttivi, ritardi, costi di trasporto fuori controllo, sono solo alcune delle conseguenze che gran parte del mondo produttivo occidentale ha dovuto pagare come tributo al modello prevalente di un unico paese idoneo a ricoprire il ruolo di fabbrica del mondo.

La necessità di allentare il forte rapporto di dipendenza che si è venuto a creare e, al tempo stesso, l’esigenza di recuperare la visibilità dell’intera filiera ed il controllo dei processi è in buona parte alla base delle decisione di molte aziende sia americane che europee di porre in atto operazioni di reshoring o di nearshoring

Attraverso di esse, inoltre, si ha la possibilitĂ  di ritornare a dare importanza ad un indotto locale ricreando un tessuto di conoscenze e di competitivitĂ  per offrire, in prospettiva, occasioni di differenziazione e di alternative nelle forniture.

Una posizione che sta provocando una decisa flessione dell’export cinese verso occidente, seppur compensato da un incremento dell’interscambio con la Russia, ma che prelude alla messa in opera di nuove strategie da parte del governo di Pechino, non intenzionato a diminuire la pressione sul mercato occidentale riconoscendone le grandi potenzialità.

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Il futuro è l’elettrico

I cinesi hanno creduto nell’auto elettrica prima di molti altri e, grazie anche a massicci aiuti di stato, sono diventati leader nel nuovo segmento per cui sembra finalmente arrivato il momento decisivo di uno sviluppo globale.

L’Europa, in particolare, dove dal 2035 saranno messi al bando i motori a combustione interna, è destinata a diventare il secondo mercato mondiale, dopo la stessa Cina, per la trazione elettrica.

Normale, quindi, che le industrie cinesi di settore abbiano rivolto la loro attenzione al vecchio continente concentrando gli investimenti proprio al comparto dell’auto elettrica, della sua componentistica ed in particolar modo delle batterie.

La novità però, rispetto alle modalità di forniture del recente passato, consiste nella decisione di produrre le batterie ed i componenti destinati alle aziende europee dell’auto nella stessa Europa.

L’investimento in nuovi stabilimenti di batterie, nel 2022, specialmente in Ungheria e Germania, secondo uno studio congiunto di Merics (Mercator Institute for China Studies) e Rhodium Group, è stata in assoluto la prima voce degli investimenti diretti cinesi in Europa.

Il caso più rilevante è quello dell’Ungheria destinataria di un insediamento di Catl, tra le maggiori produttrici di batterie, di ben 7,6 miliardi di euro che prevede una capacità di 100 gigawattora e dovrebbe divenire la gigafactory più grande del continente.

Da segnalare anche gli investimenti di Volvo, di proprietĂ  della cinese Geely per 2,6 miliardi di euro e quelli di Svolt e della stessa Catl in Germania per complessivi 4 miliardi.

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Rischio o opportunità per l’Europa?

Le opinioni non sono omogenee, divise tra la paura di una nuova dipendenza e l’opportunità che può derivare dalla presenza di grandi fabbriche che certamente alimenteranno un indotto e quindi una filiera locale.

La stessa Commissione Europea, pur stimolando i paesi membri a incentivare ricerca e sviluppo continentale per la produzione di materie prime strategiche come il litio, non ha espresso parere negativo per gli insediamenti cinesi di batterie.

Essi sono infatti ritenuti un compromesso accettabile anche perché, al momento, non sembrano esserci alternative.

Piuttosto, preoccupa la possibilitĂ  che alla produzione di batterie segua quella di auto elettriche complete da commercializzare in Europa con politiche molto aggressive.

Ben diversa la posizione degli Stati Uniti che, nella loro “guerra” per la supremazia tecnologica, hanno escluso da qualsiasi tipo di incentivo le aziende che utilizzeranno batterie cinesi per le loro auto.

Un’ultima notazione riguarda l’Italia che è uno dei pochi paesi europei dove le aziende cinesi non hanno previsto insediamenti produttivi relativi all’auto elettrica. 

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