Porto di Shanghai, è paralisi delle merci refrigerate

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Il lockdown riporta in auge lo spettro dell’interruzione della catena di approvvigionamento, con l’impossibilità di sbarcare container refrigerati nel più grande terminal del mondo

Omicron colpisce ancora: la lezione cinese sul Covid è paradossale, con l’iniziale e propagandata ‘vittoria’ sul virus ed una situazione attuale che appare di ciclico stallo, con una politica rigidissima di lockdown come il primo (ed unico di questo genere) vissuto da noi in Italia ad inizio 2020.

Il problema è che se si ferma la Cina – che lo fa a colpi di milioni di persone alla volta, come nell’attuale caso di Shanghai – si ferma una fetta della logistica mondiale.

Questa volta è il turno delle merci refrigerate, costrette a saltare il più grande scalo al mondo per le merci containerizzate. 

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Merci refrigerate, si ferma Pudong

Quello di Pudong è lo scalo marittimo di Shanghai, ma anche il porto container più grande al mondo. Il pezzo forte del mix di merci che transitano attraverso i moli di Pudong sono i prodotti freschi della filiera alimentare, carni – maiale e pollame – ma anche prodotti ittici, naturalmente refrigerati.

Shanghai è in lockdown da oltre due settimane: dopo 8 giorni i tempi di sosta per le importazioni in transito nel terminal erano già lievitati del 75% e dopo il secondo fine settimana di restrizioni, il 90% dei mezzi pesanti che si occupano dello smaltimento delle consegne è fuori combattimento – o, meglio, lo sono i loro autisti per via delle quarantene.

 

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Un’alternativa è possibile?

Dozzine di navi sono in rada, molti vettori stanno decidendo di dirottare le proprie navi su altri scali: nei piazzali del porto di Shanghai i camion refrigerati occupano tutte le possibili prese di alimentazione in attesa di essere smistati, impedendo ai nuovi container refrigerati di trovare spazio.

La soluzione immediata è il ripiegamento sugli scali limitrofi, anch’essi sottoposti ad una esagerata pressione di riflesso.

Per i vettori il problema si concretizza non solo in ritardi nelle consegne e nel rischio di perdere merci in questo caso deperibili, ma anche in costi aggiuntivi che si riversano sugli spedizionieri o che, in alternativa, le compagnie di shipping devono assorbire rinunciando a parte dei guadagni.

La domanda che molti di questi si pongono è se davvero il modello ‘zero Covid’ di Pechino sia l’unica risposta possibile per contenere la pandemia all’interno del gigante asiatico che detiene, di fatto, gran parte delle produzioni mondiali.

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