Nearshoring, sempre più aziende rientrano in Occidente: la partita USA per riequilibrare le produzioni mondiali

Condividi
Image by jcomp on Freepik
Stati Uniti, ma anche Canada e Messico spingono politiche incentivanti per il rientro delle produzioni, cavalcando la nuova priorità nella progettazione delle Supply Chain: rendersi meno esposte a Oriente

Tra gli anni ’70 del Novecento e la prima decade dei Duemila la parola d’ordine era ‘delocalizzare’: di fatto, Europa e Stati Uniti hanno mantenuto brand, know-how (sempre meno, dato che un naturale trasferimento di conoscenze è inevitabilmente avvenuto) e proprietà intellettuale, ma hanno smantellato la propria capacità produttiva in molti comparti a favore di quella parte di mondo, l’Asia, che offriva una competitività di costi e manodopera irraggiungibili.

Cina in testa, seguita dalle altre ‘tigri asiatiche’ Thailandia, Vietnam e Cambogia, seguite poi da Malesia, Filippoine, India e Bangladesh si sono accaparrate la quasi totalità di alcuni settori, senza escludere produzioni di alta gamma nell’hi-tech.

Adesso, con la certezza che questa dipendenza cronica dalla ‘fabbrica del mondo’ cinese e dalla lunghissima catena di trasmissione che deve far giungere le merci fin nei nostri store, fisici o digitali che siano, esponga il cuore dell’economia occidentale stessa a continui rischi ed instabilità, le aziende stanno invertendo rotta.

Nel giro di appena di nove mesi le rilevazioni nei confronti delle intenzioni dei manager sono passate dall’indicare una maggioranza propensa a produrre negli stessi siti degli anni passati ad una sbilanciata verso il rientro in Occidente.

Questo è tanto più vero se si considera in Nord America e la ragione è presto detta: gli Stati Uniti in primis stanno giocando una pesante partita a suon di incentivi per riattirare a sé le produzioni, seguiti da Messico e Canada. Anche nell’ottica di una nuova contrapposizione in blocchi tra potenze mondiali, non v’è dubbio che spostare gli equilibri della Supply Chain sia una mossa fondamentale.

Image by jcomp on Freepik

L’industria nordamericana torna a casa

A confermare il trend ci sono due indagini condotte da Accenture e AlixPartners, che a partire da Agosto 2023 hanno intercettato un cambiamento nelle intenzioni dei dirigenti di grandi industrie nella pianificazione delle relative catene di fornitura e produzione.

Il campione scelto comprende 100 manager di altrettante aziende, il 60% delle quali con fatturati superiori ai 5 miliardi di dollari e il risultato indica una direzione chiara: una riduzione della provenienza dalla Cina delle proprie fonti di approvvigionamento del 40%, ridistribuita in un 30% verso gli USA e un 10% verso il Messico.

Altrettanto eloquente i risultati raccolti da Accenture, che ha censito le intenzioni di 1.230 senior executives (350 dei quali statunitensi) appartenenti a 11 comparti industriali differenti su 14 nazioni: nel primo trimestre del 2023 l’85% di essi affermava di pianificare produzioni e vendite nelle stesse macroregioni dell’anno precedente, percentuale crollata al 43% nel compiersi del medesimo anno solare.

I numeri divengono molto forti se letti in rapporto alla realtà nordamericana e statunitense in particolare: le aziende che intendono ristrutturare la propria catena di fornitura sono il 52% in più rispetto ad inizio 2023, con un raddoppio di quante pensano di approvvigionarsi a livello regionale di origine entro il 2026, dal 38% attuale al 65%. 

Le politiche USA per riportare le produzioni in patria

Guardando i dati relativi agli Stati Uniti, si nota che la percentuale di aziende che pensa di rilocalizzare ‘a casa’ la propria Supply Chain entro il 2026 dovrebbe passare dal 50% attuale all’82%.

Sempre per quell’anno è attesa un’accelerazione degli investimenti in nuove catene di subfornitura e impianti di produzione negli States, passando dagli attuali 65 milioni di dollari di quest’anno a 188 milioni di dollari.

A cambiare le carte in tavola sono state in parte le criticate – e dagli effetti controversi – tariffe doganali introdotte tra 2018 e 2020 sulle merci importate dalla Cina, cui ha fatto seguito un corposo sistema di incentivi per rendere il suolo americano nuovamente attrattivo per le grandi industrie. In pochi anni sono stati varati il CHIPS Act, l’Infrastructure Investiments and Jobs Act, l’Inflaction Reduction Act e il Build America, Buy America Act.

Nel complesso, si tratta di una massa critica di provvedimenti che mitigano gli effetti del superciclo economico che affligge l’economia mondiale dal 2019, mentre promuovono la ricostruzione di un tessuto industriale che in molti Stati americani era stato lasciare avvizzire, con enormi conseguenze anche a livello locale sull’occupazione.

La necessità di evitare l’esposizione al rischio di instabilità derivante dal cordone ombelicale con l’Asia è comunque il motore principale del cambiamento: sempre le indagini condotte sui manager americani confermano infatti che soltanto il 42% delle società che pensano di applicare una qualche forma di reshoring hanno in programma di sfruttare incentivi federali.

Ti potrebbero interessare