Il Reshoring è un po’ come la ‘resilienza’ degli anni del Covid-19: parola magica, abusata, per lo più vuota di reale significato. La patria del concetto di ‘reshoring’, che poi sarebbe il rientro delle produzioni delocalizzate in giro per il mondo – Asia in particolare – nei decenni, sono gli Stati Uniti, che con Donald Trump si sono spesso riempiti la bocca con teorie protezionistiche, seguite poi da scarsi effetti materiali.
Dopo una pandemia che ha messo a nudo le fragilità della catena di approvvigionamento globale, cui sono seguite una gestione dello shipping quantomeno dubbia, una politica ‘zero-Covid’ cinese che non si distingue dalla guerra commerciale con l’Occidente a stelle e strisce ed una nuova divisione del mondo in blocchi contrapposti, i grandi Marchi dell’industria sembrano effettivamente dare seguito all’idea di riavvicinare a sé le produzioni.
Lo si deduce non da statistiche legate alla produzione industriale statunitense, per le quali è ancora troppo presto, ma da alcuni dati collaterali come la costruzione di nuovi impianti industriali.
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Picco di spesa per le costruzioni industriali
A fare caso a quella che, a molti, potrebbe sembrare solo una curiosità, è il Wall Street Journal, che pubblica in suo articolo come la spesa per le costruzioni di impianti industriali e produttivi – in parole povere, di fabbriche – abbiamo toccato la cifra record di 108 miliardi di dollari nell’arco del 2022, dato del Census Bureau.
Un’informazione che va corredata dal sapere che la maggior parte di quei soldi è stata spesa per impianti di produzione destinati a batterie agli ioni di litio e semiconduttori per veicoli elettrici, che godono di grandi incentivi da parte della Casa Bianca e degli Stati confederati.
Non è però tutto: nell’elenco di quanti hanno investito nella costruzione di una fabbrica sul suolo statunitense vi sono produttori di occhiali, di biciclette e di integratori alimentari, ossia appartenenti a settori industriali che da decenni avevano rinunciato ad avere asset sul suolo patrio.
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Segnali di rientro delle produzioni americane?
Che si tratti di sicuri indizi che il reshoring stia prendendo piede è impossibile da affermare, ma è pur vero che alla produzione industriale a stelle e strisce alcuni comparti sono sfuggiti di mano da anni e proprio a quei campi sono destinati parte dei nuovi stabilimenti.
Tra i motivi ci sono quelli che ben conosciamo: la riduzione dei tempi del ciclo di produzione e la reattività maggiore che la vicinanza porta con sé, permettendo di ricalcare una dinamica ‘just-in-time’ senza distanze oceaniche – e possibili interferenze geopolitiche – nel mezzo.
D’altronde, qualcosa sulla gestione delle scorte a fronte di domanda e produzione impazzite tre anni di sconquassi devono averlo insegnato.
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Altri segnali in favore del reshoring
Sempre la realtà USA, a detta del WSJ, registrerebbe per la prima volta dopo anni un sussulto in postivo: nel 2022 la produzione nazionale avrebbe mostrato la più alta crescita dal 2015, questo per la volontà di affrancarsi dagli approvvigionamenti esteri e per lo più asiatici.
Certo, esistono esempi che vanno in entrambe le direzioni: in favore del reshoring si può citare la decisione di Lego di portare la produzione dei suoi mattoncini negli USA, in Virginia, dopo anni in Messico, ma a detrimento di piumò annoverare il fallimento del tentativo analogo fatto da Adidas, che nel 2019 ha demoralizzato in Cina e Vietnam le produzioni impiantate appena due anni prima ad Atlanta.
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Ripercussioni positive: posti di lavoro malgrado l’automazione
Sebbene i nuovi impianti siano generalmente molto automatizzati, un altro dato che conferma un aumento delle produzioni negli Stati Uniti, che si pongono dunque come capofila di un trend legato al reshoring – è quello delle nuove assunzioni.
Negli ultimi due anni il settore manifatturiero ha contato 800mila nuovo posti di lavoro, secondo quanto cento dal Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti. Secondo la stessa istituzione, altrettanti posti di lavoro sono in via di copertura con nuove assunzioni, al fine di garantire slancio al fenomeno del rientro delle produzioni, che si teme possa avere delle battute d’arresto per la mancanza di manodopera.