Il boomerang russo: la logistica è pronta a schivarlo?

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Dipendenza dalle materie prime di Mosca, effetti sul costo dell’energia, blocco di import-export: per evitare l’austerity servono flessibilità e pensiero laterale

Ci risiamo, e dal 2020, in poco più di due anni, è la seconda volta: la logistica globale e quella Italiana nella fattispecie di trova a dover affrontare una crisi del proprio sistema. Scelte politiche miopi hanno legato il Paese a pochi fornitori, quasi unici, per certune materie prime, energia compresa, esponendo così il sistema-nazione alle oscillazioni geopolitiche del mercato.

La situazione non è poi così dissimile dai lockdown cinesi che mandarono – ed ogni tanto ancora mandano – in tilt la catena di approvvigionamento occidentale, dipendente quasi esclusivamente da quella fabbrica del mondo che è la Cina.

Molte materie prime arrivano però proprio da Russia ed Ucraina, una colpita da embarghi e, ormai, apertamente ‘ostile’ nei confronti dei partner occidentali, l’altra impossibilitata per ovvie ragioni a produrre ed esportare.

Così agricoltura, trasporti, siderurgia e comparti energivori in genere rischiano la paralisi.

Alla Supply Chain serve pensare fuori dallo schema.

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Fare fronte alla carenza di materie prime

Il primo punto è l’aggravarsi della crisi delle materie prime, già iniziata nel 2021 ed ora estesa ad altre fonti di approvvigionamento. Russia e Ucraina sono i granai d’Europa, d’Italia in particolare, ed è inutile ricordare che pane e pasta senza grano non si fanno.

Allo stesso tempo la Russia esporta molti prodotti chimici, in particolare quelli necessari alla produzione di fertilizzanti, la cui carenza impatterà, assieme al caro carburante, sulle produzioni agricole nostrane.

Altro settore nel quale l’estremo Est europeo è leader delle esportazioni verso di noi è quello dei metalli: si va da quelli più rari utili per produrre semiconduttori, a quelli più comuni, già semilavorati nelle acciaierie ucraine.

Il problema, nell’immediato, è di sopravvivenza delle singole attività: bisogna superare gli iniziali momenti nei quali dal rubinetto non arriverà più acqua. In ottica strategica occorre invece rivedere lo schema di relazioni intessute a livello commerciale e di politica estera degli ultimi decenni.

Un esempio viene dalla fornitura di gas, ma anche di grano e cereali, che bisognerà far arrivare da altre latitudini. Non è l’unica strada: il settore siderurgico italiano fa notare che si dovrebbe garantire la permanenza entro i confini dei rottami metallici, importante risorsa, ora fondamentale per disporre di materia lavorabile.

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Superare il concetto di ‘resilienza’

L’Italia, sulla quale si allunga l’ombra delle recessione e che alcuni vedono destinata a tornare ad un’economia scollata dalla vita reale come negli anni ’80 del Novecento, ma che il premier Draghi sostiene non rischiare la recessione, deve rivedere molte delle sue scelte.

Sull’energia bisogna rimodulare i tempi della transizione ecologica, sul mix di approvvigionamenti è necessario diversificare e trovare nuove fonti; attenzione, non bisogna solo guardare a ciò che si conosce come paracadute sicuro – pensiamo all’aumentare le trivellazioni di gas o il raddoppio del gasdotto Tap – ma servirebbe filare dritti verso un futuro diverso, investendo molto di più e più concretamente nelle rinnovabili e in tutto il mercato del lavoro che ne deriverebbe.

La sensazione è che, infatti, la storia insegni poco alle classi dirigenti, le quali tendono a guardarsi più indietro che non avanti: il concetto di resilienza, ossia di resistenza a tutti i costi andrebbe superato, a favore dell’idea di ‘antifragilità’, ossia del cogliere i cambiamenti ed i disordini come opportunità per cambiare e crescere.

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Una logistica antifragile

Dopo una pandemia, per altro solo scalzata dai titoli di testa dei giornali per via della guerra, e la minaccia di un conflitto potenzialmente mondiale, con una retromarcia nei rapporti e negli equilibri internazionali che ha spazzato via trent’anni di storia in pochi giorni, di quali altre prove ha bisogno la logistica per capire che un modello statico, unico e globalizzato non regge?

La logistica ha bisogno di pensare in modo diverso da quanto è stato fatto sinora, considerando una flessibilità maggiore, ma anche smettendo di ipotizzare mercati ‘ideali’ sui quali prosperare: la soluzione non sta nel ‘prevedere’, bensì nel saper reagire.

Esattamente come in natura, non esistono sistemi – ed eco-sistemi – in grado di crescere e basta: un limite ed un ridimensionamento arrivano sempre. Le difficoltà e gli ostacoli, però, selezionano ed irrobustiscono: dunque, anche la logistica deve elaborare una crescita che derivi da ogni trauma.

La risposta può essere ispirata da un parziale ritorno alla produzione in casa? Anche una ri-localizzazione sembra una scelta fatta guardando all’indietro. Nel breve e medio termine potrebbe rispondere a necessità impellenti: nel lungo è forse ipotizzabile un modello ibrido, che colga aspetti dell’attuale distribuzione globale e di una dimensione più frammentata, a catena corta, locale.

Serve soprattutto dinamicità: la realtà è molto più fluida di qualsiasi decreto legge e prevedere ogni catastrofe si rivela impossibile, anche quando gli indicatori sono tutti sul piatto.

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