Il trasporto marittimo guarda al target ‘Net Zero’: ma le linee guida sono ancora in discussione

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L’industria delle spedizioni via mare, nonché il trasporto marittimo mercantile nel suo complesso, è sotto crescente pressione per ridurre le emissioni di carbonio e contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico in modo significativo. 

Tuttavia, le linee guida e i regolamenti poco chiari, ma soprattutto la mancanza di una visione a lungo termine certamente determinata sugli investimenti da mettere in atto stanno complicando il percorso verso lo ‘zero netto’ delle emissioni. 

Dopo la recente e attesa 81esima riunione del Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marittimo dell’IMO (MEPC), emergono, sì, opportunità per il settore, ma anche tante aree grigie.

La questione dei regolamenti

Non si può dire che le aziende di spedizioni globali e gli armatori non cerchino modi per ridurre la loro ‘carbon footprint’. C’è chi testa nuovi tipi di propulsione, chi differenti strategie di navigazione: esistono svariate ‘beta’ di altrettanti progetti in circolazione sulle acque dei nostri mari o tra le banchine dei porti.

Tuttavia manca un assunto fondamentale. Manca la certezza che ciò che si otterrà da una tecnologia verrà effettivamente riconosciuto come valido per il contrasto alle emissioni di gas serra e non dichiarato promettente, ma tutto sommato insufficiente nel giro di pochi anni. 

Non è un problema da poco, in quanto l’industria marittima non maneggia macchine facilmente sostituibili, anzi: ognuna richiede investimenti con tempi di ritorno più che decennali, almeno trentennali. Le stesse tecnologie, senza una dinamica economica di scala, si mantengono su costi proibitivi. Quindi è comprensibile perché armatori e compagnie di shipping vogliano indicazioni certe prima di convertire intere flotte.

Dopo la riunione della MEPC81, per fare una esempio, l’IMO, ossia l’organo che regola l’industria marittima a livello globale, appare spinta verso l’introduzione di una tassa sulle emissioni di gas serra del settore. Tuttavia, senza linee guida sui tipi di carburanti ‘puliti’ che le grandi navi dovrebbero utilizzare, è non soltanto poco chiaro come evitare le sanzioni, ma anche percepibile come poco corretto dato che non viene eletta un’alternativa percorribile. 

Questa mancanza di chiarezza rende gli attori in gioco restii a impegnarsi per un certo tipo di carburante a minor emissione di carbonio rispetto a un altro per le loro flotte, che si tratti di idrogeno, metanolo, ammoniaca, biodiesel o gas naturale liquefatto (LNG).

Il quadro IMO per raggiungere lo Zero Netto

Durante la 81a riunione del Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marittimo dell’IMO, è stata concordata una possibile bozza di un quadro per lo ‘zero netto’ delle emissioni del trasporto marittimo. 

Queste linee guida potrebbero introdurre uno standard di carburante e tasse sulle emissioni: si tratterebbe di un sistema di compensazioni forse simile a quello dei crediti ambientali, per cui una compagnia di navigazione potrebbe pagare per la CO2 emessa oltre i limiti. 

Tuttavia, non ci sono decisioni, bensì solo ‘intese’ che sono ancora aperte alla discussione e potrebbero essere adottate come modificate già nella prossima riunione del gruppo, a settembre. Tradurre queste intenzioni in azioni concrete è una vera e propria sfida.

Il dilemma dei carburanti

Passare a carburanti più puliti è il modo più scontato per ridurre le emissioni. Tuttavia, molti nell’industria sono restii a fare i cambiamenti necessari per utilizzare nuovi propellenti.

Le spedizioni rappresentano circa il 90% del commercio mondiale e sono responsabili di circa il 3% delle emissioni di anidride carbonica del mondo.

La maggior parte delle grandi navi attualmente utilizza olio combustibile a basso tenore di zolfo, un olio simile al catrame che è relativamente economico e dall’alto potenziale energetico, il che significa che ne basta una quantità piuttosto esigua per far avanzare una nave anche per lunghe distanze.

La maggior parte dei motori delle navi è progettata per utilizzare un solo tipo di carburante e, con una durata media di 25 anni, le aziende corrono un rischio investendo su una soluzione che, attualmente, da meno garanzie su larga scala rispetto a quelli tradizionali.

Le alternative più pulite, come il metanolo e l’ammoniaca, stanno comunque vedendo una domanda crescente anche da parte di altri settori, il che fa ben sperare per un loro rapido rodaggio in contesto reale. Tuttavia, la domanda cruciale è: dove si posizionerà l’industria marittima nell’ordine di disponibilità dei carburanti in futuro? 

Le aziende devono bilanciare la necessità di ridurre le emissioni con la prudenza economica e la sostenibilità a lungo termine.

La decarbonizzazione del trasporto marittimo richiede una collaborazione tra regolatori, industria e innovatori: solo attraverso un impegno comune è possibile raggiungere un futuro più sostenibile per il settore delle spedizioni globali.

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