La nuova filiera dell’elettrico ridisegna sul planisfero la sfida per la logistica

Condividi
Image by Freepik

L’approvazione da parte del Parlamento Europeo della roadmap per la messa al bando della produzione di veicoli endotermici, a tutto vantaggio dei mezzi a basso e nullo impatto ambientale, rappresenta solo la formalizzazione di un evento ormai ampiamente previsto ed atteso.E poco conta se, ancora, gli stati membri chiedono una miglior modulazione dei tempi; la certezza ormai acquisita è che non si tornerà indietro […]

L’approvazione da parte del Parlamento Europeo della roadmap per la messa al bando della produzione di veicoli endotermici, a tutto vantaggio dei mezzi a basso e nullo impatto ambientale, rappresenta solo la formalizzazione di un evento ormai ampiamente previsto ed atteso.

E poco conta se, ancora, gli stati membri chiedono una miglior modulazione dei tempi; la certezza ormai acquisita è che non si tornerà indietro.

Lo attesta il realismo praticamente di tutti i produttori che – e non da oggi – stanno arricchendo la propria offerta con auto ibride, ibride plug-in e completamente elettriche.

Al di là dei risultati di vendita, in parte condizionati anche dalle diverse politiche di incentivazione applicate nei singoli paesi, il segnale che la transizione è ormai iniziata appare chiaro ed univoco. Tutti gli attori della filiera stanno andando nella medesima direzione.

Un ulteriore prova deriva dall’accresciuta attenzione da parte dei maggiori produttori automobilistici verso alcuni componenti strategici che differenziano un auto tradizionale da una elettrica ed il cui approvvigionamento potrebbe presentare criticità.

Intorno a loro, infatti, occorrerà costruire le nuove supply chain cercando di limitare il rischio sia di possibili interruzioni delle catene di fornitura sia di eccessive dipendenze da singoli fornitori o specifiche aree geografiche.

Image by Freepik
Leggi anche:
2035, alt ai motori inquinanti: cosa può accadere all’autotrasporto

Le batterie, oggi

Un’auto a trazione elettrica consta di un numero inferiore di componenti rispetto ad una tradizionale e se ne differenzia essenzialmente per la presenza del propulsore elettrico e delle batterie che ne costituiscono il cuore ed il serbatoio d’energia.

Soprattutto la produzione di queste ultime è quasi completamente allocata in Cina e nel sud est asiaticoed il mantenimento di questa situazione rischia di creare una nuova dipendenza geografica in grado di condizionare le catene di approvvigionamento.

Rischio che aumenta notevolmente ove si consideri che le previsioni delle future necessità superano le attuali capacità produttive ed è facile immaginare la creazione di pericolosi colli di bottiglia.

Attualmente oltre il 92% della produzione di batterie proviene da quattro paesi: Cina, Corea del Sud, Giappone e India, con la sola Cina a detenerne una quota superiore al 55%, forte del vantaggio competitivo rappresentato da bassi costi di manodopera e dalla disponibilità delle materie prime necessarie alla loro fabbricazione.

A tale proposito, però, è bene ricordare che sia il litio che il cobalto, cioè i due materiali principali per la realizzazione delle moderne batterie da trazione provengono il primo per l’80% dal Sud America (Cile, Perù, Bolivia, Argentina), ed il secondo per oltre il 60% dalla Repubblica Democratica del Congo.

La guerra delle forniture che è già iniziata, si gioca essenzialmente con accordi preferenziali tra i paesi e in questo settore la Cina si è mossa con largo anticipo acquisendo posizioni di privilegio.

 

Leggi anche:
Forum italo-tedesco, 2035 e la filiera automotive

I piani europei

Un indicatore della nuova realtà di cui le catene di fornitura dovranno tenere conto, è però la molteplicità di piani lanciati dai produttori europei in parte per affrancarsi dal prevedibile strapotere cinese, in parte per disporre di un proprio vantaggio competitivo.

Secondo dati di Transport & Environement, sono ben 40 le gigafactory che dovrebbero sorgere su territorio europeo entro il 2030 per iniziativa di aziende produttrici di automobili quali il Gruppo franco-italiano Stellantis, il Gruppo Volkswagen, Seat, Tesla, Mercedes, solo per citare le principali, o di produttori di batterie, tra cui Italvolt, FIB, Northvolt, Britishvolt, SK Innovation.

Nutrita anche la presenza di aziende asiatiche che hanno deciso di investire in previsione di un mercato che nella sola Europa si rivolge a 450 milioni di consumatori potenziali. Tra queste LG, Samsung, le cinesi Calb e CATL, quest’ultima già leader del settore a livello globale.

Il paese maggiormente coinvolto è la Germania con ben 11 siti di produzione previsti dove brillano quello di Tesla che dovrebbe raggiungere la straordinaria capacità di 100Gwh destinati ad aumentare sino a 250 GWh e quello della cinese CATL per una capacità analoga.

I programmi, seppur alcuni ancora virtuali, coinvolgono anche Spagna (5 siti), Norvegia (4 siti), Ungheria (4 siti), Svezia (3 siti), Francia (3 siti), Italia (3 siti), Gran Bretagna (2 siti), Polonia e Slovacchia con 1 sito ciascuno, ed altri ancora da definire.

 

Leggi anche:
Autotrasporto in crisi: come può difendersi la GDO

La nuova delocalizzazione made USA

Tanta mobilitazione, però, non è frutto di una reale strategia europea per fronteggiare il pericolo di un monopolio asiatico ma piuttosto sembrano iniziative dei singoli costruttori che si preparano alla nuova trasformazione di sistema cercando di acquisire il maggior vantaggio per il proprio brand.

Lo dimostra l’attenzione che molti di essi stanno manifestando per l’Inflation Reduction Act americano, maxi piano voluto dall’Amministrazione Biden per promuovere con un budget da 369 miliardi di aiuti e agevolazioni le tecnologie green che saranno prodotte sul territorio statunitense.

L’attrazione esercitata è così forte da convincere grandi brand come Volkswagen a delocalizzare negli USA una delle sei fabbriche di batterie annunciate nell’Europa orientale e ad indurre ad analoghi ripensamenti anche aziende come Audi, BMW, Siemens Energy, Basf e persino la svedese Northvolt.

Per tutte la giustificazione sembra essere la mancanza di supporti concreti da parte dell’Europa e la maggior velocità di attuazione, che l’industria rileva positivamente, nell’approccio americano.

 

Leggi anche:
Autotrasporto tra criticità e opportunità: il nuovo dossier di Logistica è online

 

I ritardi dell’Italia

In questo scenario l’Italia sembra perdere un po’ il passo anche se, sulla carta, le opportunità non mancano.

E’ infatti prevista la realizzazione di uno stabilimento per la produzione di batterie al litio a Termoli, in Molise, su commessa di Stellantis, che dovrebbe servire anche Mercedes, operativo dal 2026 con un investimento da 2,5 miliardi di euro ed una capacità massima da 120 GWh.

Il secondo insediamento dovrebbe sorgere a Scarmagno vicino Torino e, nelle intenzioni di Italvolt madre del progetto, avrebbe dovuto essere uno dei più grandi d’Europa con una capacità di 75GWh, ma ritardi e lentezze italiane sembrano aver convinto la proprietà a ridimensionarlo a favore di uno stabilimento ubicato in California.

Infine è da poco iniziata l’operatività della fabbrica di Teverola, nel casertano, voluta da Fib, società attiva con il marchio FAAM, storica presenza nel mondo delle batterie per autotrazione elettrica. La capacità installata attualmente di 330 MWh/annui, dovrebbe arrivare sino a 7-8 GWh a regime.

E’ indubbio comunque che le scelte a livello globale si stanno compiendo in questi mesi e condizioneranno l’intera politica delle future forniture.

Ti potrebbero interessare