“La responsabilità è una questione di filiera”: intervista a Umberto Ruggerone, presidente Assologistica

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«Le nostre aziende rappresentano la struttura portante, il telaio, su cui realizzare e far viaggiare un “Sistema Paese” nuovo, più efficiente, efficace e sostenibile.  Aziende che investono in innovazione creano occupazione e contribuiscono ogni giorno a rendere l’Italia più dinamica, competitiva, vivibile».

Lo ha dichiarato a suo tempo Umberto Ruggerone, presidente Assologistica, a caldo della nomina e oggi ribadito a gran voce, un grande assist che introduce al tema ESG, cui è dedicato il Dossier di Logistica.

 

Dal suo punto di vista, quali sono gli aspetti su cui è necessario concentrarsi con maggiore urgenza?

È molto importante che il tema ESG venga analizzato a partire dal suo aspetto sociale. Troppo spesso la sostenibilità viene immediatamente declinata solo con la sua accezione “green” e ambientale. Ecco, non ritengo sia il modo di interpretare la sostenibilità più adeguato alle esigenze del nostro settore.

Un logistico per me è attento all’ambiente per definizione. Se può far viaggiare un camion piuttosto che due è suo compito farlo: la logistica è quindi di per sé votata alla riduzione degli sprechi e all’efficientamento.

Quindi, la sostenibilità ambientale è intrinseca alla logistica. La strada però è ancora lunga…
Il nostro settore ha bisogno di investire per diminuire l’impatto che ha sull’ambiente e, in effetti, le aziende lo stanno facendo in modo massiccio. Ma è giusto che siano aiutate, per esempio ci piacerebbe capire meglio che direzione occorre prendere in merito ai carburanti alternativi.

Portiamo ancora la cicatrice da metano liquido: molte aziende hanno fatto in passato importanti investimenti in tal senso e ad oggi si trovano con i mezzi fermi perché si tratta di una soluzione che non ha più prezzi competitivi. Insomma, deve trattarsi di una scelta strategica del Paese e non di qualche imprenditore con iniziative singole. E per questo serve supporto dall’alto.

Manca ancora una strategia insomma.
Proprio questo è un tema cruciale per cui non ci son risposte chiare. Molte aziende sono alle prese con il rinnovo delle flotte e si chiedono che strada sarebbe meglio intraprendere; un giorno si auspica la via dell’idrogeno, altre volte quella del biodiesel ed altre dell’elettrico, ma non c’è evidenza di come questa scelta si sposi con linee programmatiche recepite a livello comunitario. Ed ogni attività ha casi a parte.

Ci può fare un esempio?
Ci sono attività logistiche di terminalistica portuale e intermodale che non possono essere svolte con “la tecnologia “pulita” dell’elettrico, ma che nell’espletamento della loro funzionalità producono ricadute più positive sull’ambiente. Una gru da terminal, che ora può essere solo a gasolio, permette di far viaggiare treni al posto dei camion, quindi con un impatto vantaggioso in termini di sostenibilità. Certo, se vado a guardare le emissioni della macchina, potrebbe sembrare una soluzione inquinante, ma se guardo nel sistema complessivo di filiera, il tutto diventa vantaggioso.

Umberto Ruggerone, presidente di Assologistica

Filiera ci sembra proprio la parola chiave.
Esatto, una parola magica e straordinaria: noi non siamo un settore ma una filiera. Poiché i parametri ESG stanno diventando vincolanti anche dal punto di vista del credito, sempre più aziende stanno mettendo in campo grandi sforzi per certificarsi in questa direzione.

Ma questo non significa che la logistica stia diventando sostenibile e che questo produca un effetto sistemico di filiera. Se è vero quindi che ci sono player che investono ingenti risorse per efficientarsi in termini sociali, ambientali e di governance, è altrettanto vero che la filiera, nel suo complesso, ha inefficienze che vanno a inficiare il risultato complessivo.

Del resto, una catena ha la forza che ricava dall’equipollenza degli anelli: se ho una catena di acciaio con un anello di plastica, la forza che vince è quella della plastica.

Come è possibile quindi avere “anelli di acciaio” e garantire un buon risultato di filiera?
Stiamo puntato sulla possibilità di individuare strumenti di certificazione di filiera, considerata nella sua accezione più ampia. Stiamo lavorando insieme ad alcuni partner per definire un processo di certificazione di filiera che abbia lo scopo di coinvolgere in un percorso a medio termine anche fornitori e ai subfornitori.

L’obiettivo è arrivare ad una certificazione di sostenibilità di prodotto che si ricava dalla sostenibilità di filiera. Questo a tutto vantaggio del sistema, degli operatori della logistica ma anche della committenza, che può rivolgersi ai consumatori spiegando gi standard di sostenibilità seguiti.

Passiamo al tema della sostenibilità sociale…
Premetto che non parlo di legalità perché non è assolutamente un tema di dibattito. C’è però un tema centrale che riguarda la definizione e il rispetto delle regole. Su di esse occorre mettersi d’accordo poiché determinano il modo di operare del Sistema. Si sente spesso parlare di sostenibilità sociale, attraverso le iniziative puntuali di aziende e amministrazioni locali.  Nel concreto però va ancora trovata una modalità d’azione che permetta alle aziende e agli operatori della logistica di avere un determinato grado di confidenza nel loro modo di lavorare e di operare con tranquillità la scelta dei propri fornitori o dei propri partner.

Come uscire da questo stallo?

Noi siamo logistici, non certo poliziotti o investigatori. Il mercato ci si prospetta davanti con diverse proposte e noi dobbiamo metterci nelle condizioni di agire in modo sicuro. Come emerso da un tavolo di lavoro sul tema avviato dall’Osservatorio sulla Contract Logistics del Politecnico di Milano, questa sicurezza sarebbe favorita dalla conoscenza di parametri chiave tra cui, per esempio, regolarità fiscale e contributiva. Parametri che sono già in possesso degli uffici della Pubblica Amministrazione.

Da qui la nostra proposta: raccogliere tutti questi dati in un unico “contenitore”, depositarli presso un ufficio deputato e permettere alle aziende di verificare la regolarità delle aziende prima di siglare un contratto. Questo, unito alla all’applicazione del Reverse Charge (ossia dell’inversione contabile, un particolare metodo di applicazione dell’IVA che consente di effettuare l’inversione contabile dell’imposta direttamente sul destinatario della cessione del bene o della prestazione di servizio, anziché sul cedente: in pratica l’onere IVA si sposta dal prestatore al committente, ndr), contribuirebbe ad eliminare il ribasso del 20% dai contratti di logistica. Abbiamo presentato questo progetto ormai da molti mesi a Confindustria, alle Regioni, ai Sindacati, alle Cooperative e ai Ministeri: sono tutti d’accordo.

E come mai questo progetto per la collezione di dati non è ancora avviato?
Noi continuiamo a promuovere e a portare avanti con forza l’iniziativa. Diciamo che il cambio di governo non ci ha favorito: quello precedente era riuscito a mettersi d’accordo nell’attuare un esperimento in Lombardia ed Emilia-Romagna, dove il peso della logistica globale italiana è del 60% logistica. Le Regioni erano davvero molto favorevoli e c’era già la data per un annuncio presso la camera di commercio di Piacenza, ma con la caduta del governo non si è più concretizzato nulla. Ora abbiamo ripreso le presentazioni con i nuovi interlocutori.

Ci auguriamo positive evoluzioni. Quali altri aspetti vuole toccare?
Nel contesto della responsabilità sociale, un tema di enorme importanza è formazione. Dagli ultimi dati forniti dalle Regione Lombardia, nel settore della logistica c’è un gap di occupazione pari a 15.700 posti. Gli enti di formazione regionali formeranno nei prossimi mesi 600 persone, un numero scarso che fa riflettere.

In effetti occorrerebbe aumentare il bacino di utenza
I dati delle scuole finanziati dalla Regione fanno molto riflettere e, sì, deve assolutamente aumentare il numero degli studenti che si possono iscrivere ai corsi inerenti alla logistica, settore che offre davvero notevoli opportunità per i giovani a tutti i livelli e in ambiti di azione anche molto diversi tra loro. Chi destina i fondi ai corsi potrebbe valutare meglio i dati provenienti dal mercato reale.

Il settore della logistica è quello che ha il maggior mismatch?
I dati divulgati dalla regione Lombardia sul mismatch tra domanda e offerta di qualificati e diplomati IeFP (Formazione professionale) nel periodo 2021-2025 sono emblematici e mostrano che viene preparato solo il 4% della forza lavoro necessaria. Dietro c’è solo l’edilizia con un dato pari al 2%. Invece, ci sono settori dove la formazione è addirittura centinaia di punti percentuali superiori alla richiesta, come accade per estetica e benessere per cui vengono preparati il 346% delle risorse richieste, con la conseguenza di massiva disoccupazione. Serve davvero un’inversione di rotta.

 

Lara Morandotti

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