Logistica inversa: ma quanto costa?

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La politica dei resi è ormai uno strumento irrinunciabile nell’e-commerce ma la crescita a dismisura del suo utilizzo rischia di non essere più compatibile con la gestione economica del venditore

L’ampia facoltà data al consumatore di rendere la merce acquistata entro un determinato periodo, con poche o nulle formalità, ha rappresentato, in un primo momento, un forte incentivo alla diffusione dell’e-commerce.

A beneficiarne è stato soprattutto il settore della moda, abbigliamento e scarpe su tutti, dove più forte era la ritrosia dell’acquirente a superare la mancanza della “prova” fisica, spesso decisiva per perfezionare l’intenzione d’acquisto.

L’opzione “reso gratuito”, ha finito per convincere più d’un potenziale consumatore al punto da far nascere un settore specifico, la Reverse Logistics, per gestire una quantità di merce sempre più significativa sul piano dei trasporti, dei costi di gestione e, non per ultimo, della sostenibilità ambientale.

Lo scenario economico mondiale che desta preoccupazione nelle famiglie, al punto che il 62 % di quelle italiane ed il 57% a livello globale dichiara di dover fare i conti con gli incrementi dei prezzi di alimentari ed energia, induce anche le aziende, ed i rivenditori in particolare, a prestare maggiore attenzione ai costi di materie prime, mano d’opera e logistica.

Un esauriente quadro è contenuto nello studio “Report sulle spedizioni e-commerce 2023” realizzato in forma congiunta da Packlink e Retail Economics e presentato in questi giorni.

L’indagine ha coinvolto 8.000 famiglie sia in Italia che nei principali paesi del mondo con l’obiettivo di tracciare il comportamento degli acquirenti on line e le loro tendenze al consumo nell’attuale contesto socio economico, alle diverse latitudini.

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Le dimensioni del fenomeno

Secondo l’indagine il tasso dei resi degli acquisti on line spesso raggiunge il 30% contro un 10% scarso lamentato dai negozi fisici.

Un dato di grande rilevanza anche se altre rilevazioni, ad esempio quella di Yocabè, start up italiana nata per supportare le aziende nella relazione con i diversi marketplace, indicano nel 20% la percentuali di resi ma con i prodotti del mondo della moda che toccano il 56%.

Da rilevare che in Italia solo il 16% degli acquisti fashion fatti attraverso il web sarebbe destinato a diventare un reso, contro il 45% della Svizzera, il 44% della Germania ed il 24% della Francia.

La percentuale italiana si ritiene sia la più bassa d’Europa, fatto però imputabile alla scarsa digitalizzazione della sua popolazione che la relega al 18simo posto su 27 stati membri, secondo l’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi).

Alla crescita dei resi on line non è estraneo il fenomeno del Bracketing, ossia l’abitudine diffusa in molti paesi di ordinare più modelli o taglie da provare a casa per poi rendere quelli che non sono scelti.

Una modalità da cui è difficile tornare indietro, se è vero che la propensione all’acquisto, per l’assoluta maggioranza dei consumatori on line, dipende dalla facilità dei resi.

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E se fosse a pagamento?

A differenza di quanto accade in un negozio fisico, però, il reso nell’e-commerce comporta una gestione più complessa con ricadute sul piano economico per il venditore non trascurabili.

L’indagine di Packling mostra che, in media, un reso on line ha un costo per il rivenditore di circa un quinto del valore dell’ordine.

La conseguenza più immediata è l’erosione dei margini in un periodo in cui diversi altri fattori contribuiscono al loro ridimensionamento, quali i rincari di manodopera, logistica, materie prime, energia.

La logistica inversa, inoltre, non include solo i costi di trasporto ma anche quelli legati al possibile reinserimento del prodotto nella catena di vendita, come il controllo qualità e l’eventuale riparazione, oppure alla sua eliminazione, come il riciclaggio o lo smaltimento. 

Secondo alcuni dati di fonte Yocabè, il costo di un reso a livello globale sarebbe di circa 33 dollari per singolo pacco, mentre in Italia, per tragitti all’interno del paese, il costo si attesterebbe a circa 13 euro. Cifra soggetta però ad un forte rialzo se il reso proviene da un paese estero (ad esempio raggiunge i 30 euro se parte dalla Svizzera).

Non deve pertanto stupire se parecchi rivenditori tendono ad introdurre limitazioni alla politica dei resi, incontrando però l’opposizione degli acquirenti.

Il report, infatti, certifica che il 76% dei consumatori nel 2023 confida nella gratuità dei resi contro il 73% dell’anno scorso.

Assolutamente minoritaria è pertanto la fascia di coloro che prenderebbero in considerazione una forma di remunerazione per questo servizio con la sola eccezione dei giovani della generazione Z che appaiono per un 39% più possibilisti.

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L’impatto sulla sostenibilità

Un ultimo aspetto che non si può trascurare in quanto va acquisendo sempre maggiore importanza è legato alle ricadute che i resi hanno sulla sostenibilità ambientale.

Va subito detto che il tema evidenzia opinioni e comportamenti ancora molto contrastanti frutto di una sensibilità non completamente matura.

In generale, l’indagine pone in risalto che per i rivenditori l’ecologia non è una priorità e solo un 18% ritiene che la sostenibilità e la riduzione dell’impatto ambientale nelle consegne sia un obiettivo da perseguire nella propria attività. 

Le cose sembrano andare un po’ meglio, almeno a livello di risposte, tra i consumatori.

Tra gli acquirenti più sensibili al fattore prezzo, il 38% è disposto ad accettare tempi di consegna più lunghi per ridurre le emissioni di gas serra, anche se la percentuale è in calo rispetto a quella registrata nel 2022 (42%).

In netta crescita, dal 25% riscontrato l’anno scorso al 34% del 2023, la quota di coloro che sono disponibili a scegliere la consegna fuori casa, in un punto di ritiro o in negozio.

Solo il 7% sarebbe infine disponibile a pagare una cifra extra per compensare il negativo impatto delle consegne sull’ambiente.

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