Petroliere, il prossimo collo di bottiglia?

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Transizione ecologica e incertezza sul futuro del greggio stanno portando ad un crollo degli ordini di navi cisterna, ma anche di Suezmax

Le petroliere sono destinate all’estinzione? Per logica deduzione, tifando per l’avvento rapido della transizione ecologica, dovrebbe darsi per scontato che ciò avvenga.

In quanto tempo? Secondo gli esperti di settore non così a breve, eppure i dati sugli ordini ai cantieri navali di nuove petroliere sembrano evidenziare un’inversione di rotta repentina rispetto al passato.

Dietro a quella che sembra una solo una normale conseguenza dell’evolversi del settore energetico si cela però un timore nemmeno troppo infondato, ossia che la transizione dal petrolio ad altre fonti di energia viaggi ad una velocità diversa da quella dell’abbandono delle navi cisterna, provocando un nuovo collo di bottiglia logistico nel prossimo futuro.

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L’abbandono del petrolio

Che si debba passare ad altro, di meno impattante per l’ambiente, è chiaro: con i combustibili fossili il pianeta è destinato ad un rapido degradamento.

Tuttavia è realistico, per quanto controproducente per la natura, ipotizzare che il petrolio non sarà dismesso dall’oggi al domani. Ne sarà ridotto drasticamente l’impiego, ma, per altro, questo avverrà nella parte più ricca di mondo – sconvolgimenti geopolitici permettendo – mentre altri Paesi rimarranno fortemente dipendenti da esso, risultandone una decisa asimmetria mondiale nei consumi.

Non solo nei consumi, anche nell’esigenza di trasportarlo: dunque di petroliere ci sarà ancora bisogno per diversi anni, realisticamente almeno una decade.

 

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Il crollo delle nuove petroliere

Quanto dura la vita media di una petroliera? Circa 25 anni. Si tratta di un investimento importante, che nessun armatore farebbe a vuoto. Produrne una ha un costo elevato, che si ripaga nei suoi decenni di servizio, sostenuti negli anni passati dalla domanda di trasporto degli idrocarburi.

Adesso però lo scenario è decisamente cambiato: quanto reggerà la domanda? È un cruccio che attanaglia gli armatori, anche perché si somma ad altre due questioni: una è quella della longevità di un investimento che potrebbe divenire obsoleto troppo presto per ragioni tecnologiche legate alla propulsione marina, soggetta a continue revisioni in chiave eco-sostenibile; l’altra è quella del costo di produzione, entrato ormai in modalità ‘superciclo’ a causa dei prezzi lievitati di materie prime, manodopera e concorrenza della domanda per altre tipologie di navi, come le rigassificatrici (per le quali si assiste ad una vera e propria corsa).

La conseguenza è un crollo degli ordini di nuove petroliere, alle quali sono preferite le vecchie, già in servizio, cui dare semmai una restaurata e da dirottare sulle rotte più redditizie.

 

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Giù anche le Suezmax

Il portafoglio ordini per navi cisterna piange: gli ordini di VLCC, le unità in grado di trasportare fino a 2 milioni di barili di greggio, sono quasi azzerati.

Da giugno 2021 ad oggi risultano infatti soltanto due ordini, effettuati dalla giapponese Mitsui OSK Lines (MOL) ai cantieri cinesi di Dalian COSCO, consegna al 2026. Se si considera gli ordini già in costruzione la situazione non cambia molto: 21 VLCC saranno consegnate nel secondo semestre del 2022, mentre altre 20 sono attese per il 2023.

Delle 861 VLCC oggi in servizio nel mondo, 81 compiranno 20 entro la fine dell’anno e nel 2023 saranno 114 ad avere due decadi sulla chiglia. Si presuppone dunque che non vi sarà ricambio: già adesso il rapporto tra ordini e flotta è attestato al 5%.

Stesso dicasi per le Suezmax, le meganavi cisterna che trasportano 1 milione di barili di petrolio: nessun ordine da giugno 2021, 8 arriveranno quest’anno, 6 nel 2023 e 2 nel 2024, per un totale di 16 nuove navi. Anche qui la vetustà avanza: 65 Suezmax compiranno almeno vent’anni nel 2022, nel 2024 saranno 111 le over-20.

 

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Il collo di bottiglia

Il problema è evidente se si considera un dato: la dimensione assoluta del portafoglio ordini è attualmente sceso, se misurato in tonnellate di portata lorda, ai livelli del 2000/2001, ma il mercato petrolifero odierno è assai più grande.

Sommando a ciò che i Paesi che richiedono maggiormente petrolio in quanto sfronti sono spesso quelli a crescita demografica ed industriale più forte, anche perché più arretrati, si capisce che è in atto uno sbilanciamento asimmetrico tra esigenza e disponibilità di trasporto.

Proprio per l’entrata in gioco dei Paesi in via di sviluppo, si stima che il picco della domanda di greggio sarà raggiunto nei prossimi 10-20 anni, a dispetto della transizione ecologica; il problema è che, ad oggi, un armatore paga una petroliera anche il 28% in più rispetto a due anni fa, senza avere la certezza che essa possa operare per almeno 20 anni per via dell’evolversi delle normative ambientali sulla propulsione marina.

Il risultato è che sui mercati emergenti saranno tenute in servizio navi molto anziane, probabilmente molto più inquinanti, ma molto più economiche per gli armatori.

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