La guerra commerciale da tempo in atto tra Stati Uniti e Cina si è, di recente, arricchita di un nuovo capitolo con la decisione americana di consentire alle proprie aziende l’apertura di fabbriche di microchip in Europa.
Come è noto, la tecnologia di questo componente strategico che è alla base del funzionamento di una miriade di prodotti, dagli elettrodomestici ai computer, dalla calcolatrice alle auto, dagli orologi digitali alle sofisticate applicazioni militari e medicali, ha avuto origine negli Stati Uniti che ne detengono tuttora il primato in termini di sviluppo oltre che di produzione.
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La mappa dei microchip: Cina, Taiwan e USA
La Cina ha cercato di conseguire una propria indipendenza tecnologica, sfruttando anche le conoscenze acquisite producendo per conto terzi, senza però ottenere i risultati attesi malgrado le generose sovvenzioni di stato.
E’ pur vero che a Taiwan ha sede TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), la più grande fabbrica al mondo di microchip capace di controllare il 28% della capacità produttiva globale ed essere l’unica, insieme alla coreana Samsung ed ai grandi colossi americani come Intel e Nvidia, in grado di produrre i microchip più sofisticati di ultima generazione.
Gli Stati Uniti, per quanto detengano un solido vantaggio nella concezione dei chip e nella capacità di presiedere al loro sviluppo, temono la concorrenza cinese che potrebbe essere alimentata anche dal massiccio decentramento produttivo compiuto proprio dalle aziende americane verso il sud est asiatico che assicurava manodopera a costi competitivi
Inoltre, le recenti vicissitudini di carattere geopolitico e gli effetti della pandemia hanno mostrato la fragilità delle catene di approvvigionamento le cui ripetute interruzioni hanno portato a carenza di prodotto in tutto il mondo, causando blocchi produttivi in settori strategici come quello dell’auto, solo per citare uno dei tanti esempi.
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La nuova strategia
Come evidenziato da Federico Fubini nella sua analisi per il Corriere della Sera l’Amministrazione Biden non solo ha stanziato massicci aiuti per 52 miliardi di dollari per la ricerca e produzione di semiconduttori oltre a 24 miliardi di crediti d’imposta per la loro manifattura, ma ha anche imposto durissime restrizioni nell’accesso della Cina a semiconduttori prodotti e progettati negli Stati Uniti o semplicemente prodotti con macchinari fatti o inventati negli Stati Uniti.
Lo scopo evidente è quello di impedire che le fabbriche cinesi possano in qualche modo avvalersi dei microchip di ultima generazione.
Queste decisioni toccano anche le aziende europee che fanno parte delle catene di approvvigionamenti di produttori che hanno uno sbocco sul mercato cinese.
Un esempio in tal senso è rappresentato dalla filiera automobilistica per cui la Repubblica Popolare Cinese è uno sbocco.
E’ il caso dei grandi marchi tedeschi per cui la Cina è oggi un mercato prioritario e che sulle proprie auto montano semiconduttori americani.
Molte aziende italiane fanno poi parte di queste catene di approvvigionamenti e, in tal modo, rischiano di perdere importanti commesse.
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Il progetto delle fabbriche in Europa
Fa parte di questa nuova strategia anche l’annunciata decisione di Intel, leader tecnologico americano proprio nel settore dei microchip, di investire massicciamente in Europa per la realizzazione di nuove fabbriche di chip.
I paesi interessati sono la Germania, destinataria di un investimento di circa 20 miliardi di euro per la realizzazione di uno stabilimento a Magdeburgo, la Francia con un investimento da 15 miliardi per la ricerca e sviluppo dei prodotti più avanzati, e l’Italia, con sede da definire tra Chivasso (Piemonte) e Vigasio (Veneto) dove con un investimento di circa 10 miliardi sarebbe attesa la produzione dell’innovativa tecnologia del “back end”, ancora da presentare in prima mondiale.
Il progetto non ha bisogno di commenti e, oltre a rappresentare l’occasione per posti di lavoro per migliaia di unità tra tecnici, ingegneri e personale altamente specializzato, potrebbe contribuire a realizzare nelle città indicate veri e propri distretti tecnologici al servizio dell’intero continente creando ed attirando anche un forte indotto in grado di alimentare supply chain più corte ed efficienti.
Proprio per questo nelle intenzioni dell’Europa ci sarebbe anche la realizzazione di un Chips Act europeo finalizzato a liberalizzare gli aiuti di Stato e consentire ai tre paesi coinvolti di finanziare ciascuna il 40% dell’investimento Intel.
Al momento, mentre in Germania la costruzione della fabbrica procede spedita, spinta dall’interesse anche delle aziende tedesche dell’auto, in Italia occorre ancora sciogliere la riserva sulla località e, forse soprattutto, convincere il partner americano della necessità e bontà dell’investimento.