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Rilocalizzazione: la logistica dei microchip torna in Europa

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Primi segnali della tendenza a re-importare le produzioni sul suolo europeo. In Italia si produrranno semiconduttori con impianti energicamente autosufficienti

Troppa dipendenza da fornitori esterni, non solo al proprio Paese, ma al proprio continente: dopo la sbronza globalizzante, il mondo della Supply Chain inizia davvero a fare marcia indietro o, meglio, avanti.

Sì, perché superare le crisi che bloccano la catena di approvvigionamento, a turno in tutti i settori, è questione di iniziative, necessariamente in controtendenza rispetto agli ultimi trent’anni.

Proprio alcuni vertici industriali italiani avevano indicato nella ri-localizzazione in casa delle produzioni strategiche una mossa immediata per contrastare nel medio termine le conseguenze di pandemia e destabilizzazioni geopolitiche.

Con la nuova divisione del mondo in zone di influenza, dall’equilibrio ancora indeterminato, neppure la vicina Europa dell’Est è più considerabile ‘fornitrice sicura’. Ecco allora che si comincia dai semiconduttori e si riparte proprio dall’Italia.

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Semiconduttori: una delle tante crisi 

Una prima notizia arriva dai protagonisti di una delle principali materie mancanti da un anno a questa parte, i semiconduttori.

A devastarne la disponibilità sono stati, nell’ordine, la pandemia e i relativi lockdown in Asia, dove per lo più vengono prodotti, la carenza delle materie prime utili a realizzarli e l’aumento di costo delle stesse, l’allungamento dei tempi di trasporto e, da ultimo, le ripercussioni dirette e indirette dovute alla guerra tra Russia e Ucraina.

Dunque, visto che i microchip fanno funzionare ormai qualsiasi cosa e che le nostre vite  e attività economiche andrebbero del tutto ripensate per poterne fare a meno, la prima reazione arriva proprio da questo settore, che torna a produrre in Europa, nella fattispecie in Italia, a Novara.

 

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Microchip dalle risaie

Non si tratta di una soluzione in grado di ribaltare le sorti di quel mercato, ma di proporre un’alternativa a breve-medio termine sì: trecento milioni di euro di investimento, con l’obiettivo di realizzare un impianto di produzione di dischetti di silicio da 300 millimetri di diametro, in gergo chiamati ‘wafers’.

Dai ‘wafers’ di silicio si ricavano i chip per l’elettronica di consumo, dunque quelli che servono agli smartphone come alle automobili.

La ripartenza ‘in casa’ prende le mosse da un investimento privato che punta sulla ex-Montecatini, ora Memc Electronic Materials: il paradosso è che la scelta arriva proprio dall’Asia, dalle cui forniture dipendiamo.

La Memc è di proprietà di un’azienda taiwanese, la GlobalWafers, specializzata nella produzione di semiconduttori con 11 stabilimenti in tutto il mondo, sparsi su tre continenti. La mossa non è però in antitesi con gli interessi della società, che, anzi, paga dazio proprio per l’instabilità della Supply Chain globale.

 

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A ritroso: dall’Asia all’Europa

La decisione di riportare le produzioni di microelettronica nel Vecchio Continente è dunque di marca asiatica: ad oggi l’Europa fattura in questo settore un terzo rispetto agli USA, che a loro volta pesano per un terzo delle fatturazioni asiatiche.

Dall’Asia, però, le materie prime e lavorate faticano a partire e, quando ci sono, impiegano oggi troppo tempo per giungere a destinazione, con costi di trasporto improponibili se confrontati a qualche anno fa.

È la stessa GlobalWafers a rilocalizzare le produzioni vicino ai mercati di destinazione e l’Italia è strategica per l’industria dell’elettronica di precisione, in campo medico o automotive – la Germania è a due passi.

La prospettiva di poter avere gli agognati dischetti di silicio a pochi km dagli stabilimenti ha poi ingolosito molti dei clienti che di essi si servono, spingendo grossi nomi europei dell’elettronica a parteggiare per l’investimento sulla Memc di Novara; si parla di StMicroelectronics e Bosch, per citarne alcuni.

 

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Posti di lavoro e autonomia energetica

Le ricadute sono solo positive, dimostrando come per invertire certe tendenze – compresi i problemi nostrani di occupazione – basti ‘poco’: lo stabilimento che vedrà la luce per le produzioni di wafer in silicio porterà con sè una dote di circa 100 posti di lavoro ex novo sul territorio, con contratti di fornitura ai clienti in grado di coprire i prossimi decenni.

Non mancano infatti le richieste e lo dimostra anche il piano varato dall’Unione Europea per incentivare la produzione ‘in house’, denominato ‘Chips Act’ e forte di 40 miliardi di investimenti pubblici e privati.

Ma c’è una scommessa nella scommessa: l’indipendenza energetica della produzione.

Il progetto, nato prima dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina, prevede standard ambientali rigorosi, votati ad alimentare quella che è un’attività energivora il più possibile da fonti rinnovabili.

Se la produzione inizierà nel giugno 2023, entro il 2050 GlobalWafers vorrebbe che nessuna delle sue fabbriche consumasse più energia da fonti fossili e per la Memc di Novara c’è allo studio una soluzione interessante.

I Wafers di silicio producono a loro volta, come scarto delle lavorazioni, idrogeno: gli ingegneri dell’azienda stanno mettendo punto un sistema di ‘riciclo’ per impiegarlo nella produzione di energia da destinare all’impianto stesso. Una sorta di circolarità dell’energia in grado di rendere parzialmente autonoma la fabbrica: un modello esemplare e fondamentale con i gli attuali costi dell’energia.

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