Semiconduttori: una supply chain molto vulnerabile

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La catena delle forniture dei dispositivi tecnologici più sofisticati e ricercati al mondo è subordinata all’attività di un ristretto numero di produttori da cui dipende lo sviluppo di interi settori merceologici

Progettare e realizzare un qualsiasi prodotto della vasta gamma che prevede la presenza di una parte elettronica senza stabilire quali chip utilizzare e soprattutto dove reperirli, è praticamente impossibile.

I chip al silicio, essenzialmente un insieme di microcircuiti elettronici, esaltati dalle loro caratteristiche di miniaturizzazione e di integrazione, sono infatti diventati elemento base di tutta l’elettronica moderna e determinano le prestazioni del prodotto a cui sono destinati.

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Semiconduttori: impossibile farne a meno

Dal momento del loro ingresso sul mercato, i semiconduttori hanno rivoluzionato tutti i settori merceologici a cui sono stati applicati, dalla telefonia cellulare ai computer portatili ed ai videogiochi, dall’automotive agli elettrodomestici ed a molte macchine utensili, sino al settore medicale e a quello militare, diventando praticamente indispensabili per la loro realizzazione

A testimonianza di ciò è sufficiente ricordare come la loro improvvisa carenza, manifestatasi alla fine del 2020, abbia messo praticamente in ginocchio l’industria automobilistica mondiale causando forti perdite produttive ed economiche che si sono poi estese anche ad altri comparti industriali, avendo provocato l’interruzione di numerose supply chain.

Un recente libro di Chris Miller, “Chip War: the Fight for the World’s Most Critical Technology”, vincitore del premio Business Book of the Year del Financial Time, mette in luce i rischi che le attuali catene di approvvigionamento globali basate su questo componente altamente strategico, corrono.

Al tempo stesso evidenzia la sua centralità nello scontro oggi in atto tra Stati Uniti e Cina per la supremazia tecnologica mondiale di cui i chip al silicio stesso, nelle loro diverse declinazioni e sofisticazioni, sono diventati il simbolo.

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I rischi delle supply chain

I chip nella loro moderna configurazione sono nati nella Silicon Valley più di 70 anni fa e la loro produzione è rimasta per gran parte negli Stati Uniti sino agli anni Novanta, prima di essere allocata in paesi del sud est asiatico.

Oggi il più grande produttore mondiale di microchip è TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) che rifornisce le principali aziende tecnologiche ed è altamente specializzato per realizzare la miniaturizzazione dei chip con l’indispensabile precisione richiesta dai modelli più sofisticati.  

TSMC opera in un unico sito che è diventato il centro di tutte le più importanti catene di approvvigionamento che utilizzano semiconduttori particolarmente avanzati, ma non è privo di vulnerabilità che, soprattutto dopo la pandemia, sono emerse.

Infatti, un eventuale blocco produttivo potrebbe essere il risultato di un attacco informatico, oggi fatto più frequente rispetto al passato, ma anche di fenomeni naturali sia geologici che meteorologici, essendo l’isola di Taiwan soggetta a tifoni o terremoti.

Un ulteriore fattore di criticità, tutt’altro che trascurabile, è poi costituito dall’indipendenza di Taiwan dalla nazione cinese che ne rivendica invece l’appartenenza contribuendo ad alimentare i timori americani di perderne il controllo.

Il progressivo deterioramento dei rapporti tra i due blocchi, USA e Cina, sta portando gli americani, che ancora detengono il know how tecnologico dei chip più avanzati, a riportare in casa con operazioni di reshoring, o comunque in territorio di paesi amici o neutrali, le produzioni allocate in aree giudicate a rischio.

Si pone in questo scenario la decisione di TSMC di realizzare due fabbriche in Arizona investendo 40 miliardi di dollari per produrre dal 2024 il chip a 4 nanometri e dal 2026, nel secondo impianto, quello a 3 nanometri più piccolo ed ancora più tecnologicamente sviluppato.

Gli USA, da parte loro, hanno varato il Chips and Science Act che destina 280 miliardi di dollari per promuovere ricerca e sviluppo dei semiconduttori negli Stati Uniti.

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Il controllo in poche mani

Miller, nel suo libro, sottolinea anche gli sforzi fatti dalla Cina per cercare di spostare l’asse del dominio americano e le difficoltà incontrate dalle aziende cinesi, vale per tutte l’esempio di Huawei, per tentare di scalfirlo.

Tutte, infatti, hanno dovuto fare i conti, nelle loro catene di approvvigionamento, con la disponibilità dei chip la cui progettazione rimane però saldamente connessa con le aziende americane così come i macchinari per la loro produzione anch’essi progettati o costruiti perlopiù in California.

Ad esempio, i macchinari di grande precisione che consentono la realizzazione di un chip sono prodotti da sole cinque aziende al mondo, una olandese, una giapponese e tre californiane che di fatto ne detengono il monopolio.

A completare il quadro, si tenga presente che tutte le macchine per litografia ultravioletta indispensabili per la costruzione dei chip tecnologicamente più avanzati sono prodotte da una sola azienda olandese.

Tutto ciò introduce un elemento di vulnerabilità nelle catene di approvvigionamento globali che potrebbero subire delle interruzioni a cause di improvvisi problemi ad uno dei suddetti fornitori.

Il tentativo degli Stati Uniti di riavvicinare la produzione dei semiconduttori ai mercati di commercializzazione si muove quindi anche nella direzione di allargare il range dei fornitori motivando maggiormente la ricerca interna, ma i tempi potrebbero essere lunghi.

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