Blackout logistici, le ripercussioni sull’immobiliare

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I rapporti tra Supply Chain e Real Estate sono assai stretti e il secondo subisce le ripercussioni dell’andamento del primo, un po’ come una foglia sulla superficie dell’acqua quando essa si increspa. Gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da una continua rincorsa nei confronti dei nuovi modelli di distribuzione e stoccaggio nati con la pandemia e l’esplosione dell’eCommerce sui scala globale […]

I rapporti tra Supply Chain e Real Estate sono assai stretti e il secondo subisce le ripercussioni dell’andamento del primo, un po’ come una foglia sulla superficie dell’acqua quando essa si increspa.

Gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da una continua rincorsa nei confronti dei nuovi modelli di distribuzione e stoccaggio nati con la pandemia e l’esplosione dell’eCommerce sui scala globale, ma anche alle esigenze di aziende che si sono viste letteralmente ‘tagliare i rifornimenti’ per le congestioni della catena logistica.

Un biennio di volatilità della Supply Chain ha senza dubbio trasformato anche il mondo dell’immobiliare logistico, lasciando un segno che perdurerà negli anni.

 

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Materiali da costruzione

I lockdown, la crisi delle materie prime e la guerra russo-ucraina hanno portato in primis i tempi di consegna di molti materiali e prodotti ad assomigliare ad un elastico dal comportamento imprevedibile, per sfociare in alcuni casi in una netta carenza cronica di forniture.

Così è successo ad esempio per i materiali ferrosi e metallici in genere, che nell’acciaio hanno un protagonista di primo piano del mondo delle costruzioni civili, ma soprattutto industriali.

I tempi di consegna si sono dilatati a dismisura, rendendo la costruzione di capannoni, coperture, portelloni o elementi di banchina una tela di Penelope.

Anche i materiali più disponibili, come il vetro o il cemento portano con sé una memoria di questi due anni, con un notevole aumento dei prezzi e tempi di consegna maggiori che in passato.

 

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La richiesta di spazi

In contemporanea è aumentata la domanda di spazio per lo stoccaggio di merci: di pari passo con l’eCommerce, che in pochissimi mesi ha assunto proporzioni abnormi decuplicando la domanda di prodotti al dettaglio, anche i magazzini hanno modificato le loro esigenze.

Il precedente modello di business basato sul ‘just-in-time’, che non prevedeva grandi scorte e dunque costi fissi in casa per gli operatori logistici, si è dimostrato inadeguato per rispondere alla schiacciante e continua domanda, sovrapposta ad una Supply Chain spesso paralizzata.

È così tornata in auge la politica del fare scorte, che ha ben presto saturato gli spazi a disposizione in quanto dimensionati per tutt’altra dinamica di stoccaggio e distribuzione. 

Alla domanda di nuovi magazzini non è corrisposta una costruzione di altrettanti nuovi volumi, dunque sono aumentati gli affitti di quelli esistenti, in una sorta di corsa alla sopravvivenza logistica.

 

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Il reshoring a che punto è?

C’è poi il capitolo reshoring, ossia ri-localizzazione o delocalizzazione inversa: si tratta del ritorno in patria delle produzioni o, per lo meno, nello stesso continente.

Non è un processo facile, specie dopo decenni di delocalizzazione, sospinta dalla convenienza di costi che offrivano le produzioni all’estero, soprattutto in Asia. Venendo meno la reattività della catena logistica, tra cargo aereo azzoppato e shipping senza più garanzie di puntualità alcuna, gli extra costi del produrre in casa si ridimensionano, compensandosi con la certezza di avere inventario e di poterne prevedere costi e tempi.

Tuttavia tra il reshoring e l’industria occidentale c’è un rapporto ‘odi et amo’ e la congiuntura economica mondiale non favorisce gli investimenti.

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