Carburanti: fermi Tir e pescherecci, ma le accise resistono

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Le accise sui carburanti pesano per il 55% del loro prezzo finito al consumatore, un record tutto italiano

Possono svoltare i secoli, cadere i governi, cambiare le monete e persino il clima, ma loro restano sempre lì: sono le incrollabili ed odiate accise, tassazioni spesso introdotte ‘una tantum’ per finanziare una determinata emergenza e poi cronicizzatesi e divenute voci fondamentali del bilancio statale.

Fatto sta che l’Italia detiene il record in quanto a peso delle accise sul prezzo dei carburanti: lavorare la benzina costa 87 centesimi di euro, venderla almeno 1,08 euro in più per le sole imposte.

Adesso l’estremizzarsi della crisi che riguarda i costi dell’energia potrebbe rimetterle in discussione.

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Intanto, si fermano i Tir

In molte regioni d’Italia si sta assaggiando quanto entro breve si configurerà come scenario inevitabile, senza interventi pesanti sul costo dei carburanti: gli autotrasportatori – come recitano i comunicati di Unatras – si rifiutano di mettere in strada i mezzi.

Con il gasolio che sfiora quote record da 2,5 euro al litro, far viaggiare camion che divorano un litro ogni due-tre chilometri significa andare in perdita.

Se il problema, inizialmente, lo si può vedere focalizzato sul trasporto, si deve ricordare ciò a cui il trasporto serve: rifornire industrie e grande distribuzione. La conseguenza del fermo dell’autotrasporto è l’inevitabile carenza di prodotti sugli scaffali dei negozi, come di materie prime nelle fabbriche.

Le ripercussioni su vasta scala sono difficili da quantificare: se già manca acciaio per le fonderie, la rarefazione dei trasporti ne acuisce la carenza. Il caro-carburante ha, in parte, la stessa matrice del caro-energia che costringe le industrie siderurgiche a tenere accesi i forni il 50% del tempo utile per tagliare i costi, rallentando la produzione.

Quella produzione, decurtata, a sua volta avrà problemi a viaggiare e rallenterà altri settori: i tondini di acciaio per le armature edili non raggiungeranno i tanti cantieri aperti, ingolfandoli, ad esempio.

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Pescherecci all’ancora

Per lo stesso motivo resteranno ormeggiati i pescherecci di mezza Italia, non rifornendo di pesce fresco mercati, pescherie e ristoranti per una settimana.

Il ritornello è sempre quello: i costi di gestione troppo elevati. Un peschereccio di piccole dimensioni ‘brucia’ più di duemila euro al giorno, con gli attuali prezzi del gasolio, una soglia di spesa insostenibile con le entrate che il pescato può garantire.

 

Uno dei problemi sui quali agire: le accise

Il Sole24Ore riporta che lunedì 7 marzo il prezzo della benzina era, in media, di 1,95 euro, con un disavanzo enorme rispetto al suo prezzo industriale, di appena 0,87 euro. Stesso dicasi per il gasolio, che, nel medesimo giorno, costava alla produzione 0,88 euro e al consumatore 1,82 euro.

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Il resto dunque da cosa è composto?

Penalizzazione fiscale, ossia Iva e accise: nel caso della benzina, il 55% del costo finale, per il gasolio, il 51%.

Dentro al calderone delle accise sopravvive di tutto: dalle ricostruzioni di Vajont, Irpinia, Belice e Friuli – la più recente di queste disgrazie fa data al 1980 – all’alluvione di Venezia e di Firenze del 1966, senza tralasciare la guerra d’Abissinia del 1935, l’intervento umanitario in Libano del 1983 e la guerra in Bosnia degli anni ’90.

Tutte voci d’entrata aggiuntive che sono divenute ‘eterne’, strutturali per il Fisco: e adesso che l’emergenza è in casa nostra?

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